giovedì 25 marzo 2010

Il giorno dell'inaugurazione

Ma guarda, alla fine ce l’hanno fatta a costruirlo, il Ponte, e chi l’avrebbe mai detto? Laggiù la Sicilia, qui la Calabria, unite da quella lunga, slanciata freccia bianca. C’è ombra sul mare, l’ombra del ponte che sembra dividere e tagliare in due: a destra il Tirreno, a sinistra lo Stretto e poi il Canale. E guarda quanta gente proprio all’imbocco: c’è un palco, è tutto colorato di bandiere e coccarde, c’è la banda; suonano inni, ma anche canzoni popolari e tutti sono contenti. Avviciniamoci: dicono che stia per arrivare il Presidente, in elicottero, da Roma. Viene per l’inaugurazione: per questo sul Ponte non passa ancora nessuno. E’ giusto, il primo deve essere il Presidente, in fondo è venuto da Roma apposta.
Forse è lui? Ma sì, certamente che è lui: atletico, non dimostra per niente l’età che ha. Si vede che ce la mette tutta per assomigliare a Colui che ora riposa nel mausoleo di Piazza Duomo a Milano, quel Colui senza il quale il Ponte non sarebbe mai stato costruito. Certo, ci hanno impiegato un po’… Ma eccolo, sale sul palco. Avviciniamoci ancora: c’è Don Calogero Pizzini, l’emerito ingegnere rappresentante dell’associazione dei costruttori siciliani che guarda il Ponte con occhi di padre affettuoso. Ch’è beddu quel ponticello, e ora il Presidente parla della sua creatura e ne tesse le lodi. E’ importante il Ponte, come si fa a dire che sia stata un’opera inutile? L’anno scorso , ad esempio, quando ci fu quella frana su dalle parti di Catania, quella sotto la quale morirono una qualche dozzina di cristiani, ecco, ci fosse stato il Ponte i soccorsi sarebbero potuti arrivare dal Continente, e invece no: ha dovuto fare tutto la Protezione civile siciliana e, meschinella, lo sappiamo in che condizioni sta.
«Bravo!» applaude Don Calogero. Inutile il Ponte? Ma erano solo dei fetusi quelli che lo dicevano sostenendo che si potevano spendere quei soldi in altra maniera.
«Ma perché – chiede ingenua la bella signora Rosalia, moglie cotonata e siliconata dell’Ingegnere Nicolemi – hanno riaperto l’autostrada a Bagnara? Non ci fu una frana?».
« Ma quale frana e frana! – minimizza Don Calogero unendo pollice a indice – Una crollatina, una crollatina da niente su per la montagna. Non è morto quasi nessuno.».
Magari avessero già terminato il Ponte due anni fa, ad esempio, quando si verificò quel terribile black out che spense tutta la Sicilia, quando via Etnea si colorò a festa come se fosse carnevale per tutti i fiumi di gelato sciolto che evadevano dalle gelaterie. E c’era il rigagnolo del pistacchio, e quello del limone e quello del cioccolato, tutti che scendevano allegramente a mare per farsi un bagno. In quelli stessi giorni, quando la carne andava a male nei supermercati , il Ponte sarebbe stato utilissimo. Invece di aspettare navi e petroliere, le autobotti avrebbero potuto, soltanto scavallando l’Aspromonte (per via della crollatina di Bagnara), arrivare a Messina facilmente. Molto facilmente.
Il discorso del Presidente sta volgendo al termine, si avvicina il momento del taglio del nastro e della prima traversata trionfale dal Continente alla Sicilia. Rimane da innalzare una preghiera per coloro che sono morti durante i lavori: quanti siano non se lo ricorda più nessuno, ma Don Calogero assicura che si tratta di un numero fisiologico. Poi la medaglia al più anziano lavoratore ancora in vita, un vecchierello di quasi novant’anni che iniziò a lavorare nel 2010, quando era ancora un ragazzo, e oggi, 65 anni dopo, ha visto avverarsi il suo sogno.
La banda attacca l’Inno, ed è tutto uno sventolare di bandiere. Il Presidente scende con passo atletico dal palco e si dirige verso il lungo nastro che, da pilone a pilone, attraversa il Ponte. Bel nastro, spesso, con i colori dell’Italia, della Sicilia, dell’Europa. Si avvicina un caruso raccomandato che regge un cuscino di raso rosso con sopra un paio di forbici d’argento. Il presidente dà una carezza al bambino, gli chiede come si chiami e si dimentica il nome. Avanza verso il gran nastro e con un colpo, uno solo, lo taglia in due. Il nastro si affloscia sull’asfalto tra il tripudio degli applausi che coprono un piccolissimo schiocco proveniente dal pilone a settentrione. Il Presidente muove verso la sua automobile, fedelmente seguito da Don Calogero che non si accorge, tanto l’entusiasmo e il fracasso di grida e il rombo di motori presidenziali, di un altro piccolissimo schiocco proveniente, questa volta, dal pilone che dà verso Reggio.
«Che spettacolo grandioso! – si emoziona Donna Rosalia, che è talvolta capace di emozioni – Questi piloni altissimi, con i nastri e le bandiere in cima. Guardate come sono belle, agitate dal vento.».
Belle, vero, ma strane. Non c’è mica vento, oggi, proprio per nulla.
«Sono così alti! – osserva Donna Rosalia, che è raramente capace di osservazioni – Quasi non si vede la cima e sembra che ondeggino. Ah, Ah! che sciocchina».
«Ah, Ah!» l’asseconda compiacente di tanta sciocchineria l’Ingegnere Nicolemi, ma uno sguardo verso l’alto lo fa diventare un poco pensieroso. E un rumore, un po’ più avvertibile dei precedenti, quasi una lacerazione, si alza ora dall’asfalto. «Geometra?» chiede Don Calogero al suo fido scudiero. E quegli allarga le braccia «Forse il nastro, quando l’ha tagliato» ipotizza. Il pilone di Tirreno comincia lentamente a voler riguadagnare il suo mare. Quello di Reggio, indispettito, non vuole essere da meno e punta verso il Canale. Il nastro d’asfalto, conteso dai piloni rivali, non sapendo quale scegliere, opta per una soluzione salomonica lasciando che una parte vada di qua e l’altra di là. Si apre quindi, al centro della mezzeria, una fessurina che rapidamente diventa una fessurona. Si comincia a intravvedere il mare. La spaccatura, dapprima limitata ai pochi metri antistanti la Calabria, velocemente si allunga verso la Sicilia. La banda ha smesso di suonare e le grida di giubilo sono un po’ più confuse. La folla, fieramente preceduta dal Presidente e da Don Calogero, sospetta che sia il caso di allontanarsi e di riparare verso la sicura montagna. Il caruso segue preoccupato che il cuscino non cada a terra. Il pilone a Nord s’è deciso: ritorna nel Tirreno. E quello a Sud lo imita poco dopo dall’altra parte. Donna Rosalia ha compreso – assai raramente è capace di comprensioni - perché i tacchi a spillo non sono l’ideale per correre nel fango. Il nastro d’asfalto, ormai ridotto in tronconi , precipita nello Stretto procurando forti emicranie ai pesci abissali. L’anziano lavoratore stramazza al suolo. In capo a pochi minuti ogni ombra è sparita sul tratto di mare ormai ritornato unito come ai tempi di Scilla e Cariddi. Il Presidente ha ancora in mano le forbici e si avvicina, non di ottimo umore, a Don Calogero il quale, allargando le mani «Non si preoccupi, Signor Presidente, non si preoccupi. Lo ricostruiremo. Rapidamente»


Pubblicato sul numero 71 di 'u cuntu. http://www.ucuntu.org/

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