martedì 30 ottobre 2012

Satripan cadupàn saleim

Si svegliò nel cuore della notte, l’anziano pensionato, inquieto come s’era addormentato. Era sdraiato sul divano, davanti al televisore ancora acceso ma ormai muto. Per qualche momento si sentì smarrito: perché non era nel suo letto? Ma poi, a poco a poco, i ricordi affiorarono: la sera prima, il suo desiderio di cambiamento, di ribellione, che l’aveva spinto a raggiungere quella vecchia sezione di partito vicino casa. Salvo scoprire che, nel frattempo, era diventata ben altro. Segni dei tempi, era finita l’epoca dei partiti di massa, era iniziata quella dei contatti personali, ancorché non sempre intimi.
E quindi doveva cambiare tattica e strategia e la mattina dopo, di buon’ora, avrebbe iniziato la sua personale opera di mobilitazione.
Rinfrancato, quando ormai albeggiava, guadagnò il letto, accompagnato da un “finalmente” della curiosa vicina che quasi stava cedendo al sonno.
“Bisogna ricominciare dai bar”, si ripromise: aveva individuato in quei centri spontanei di aggregazione il luogo privilegiato per ripartire, per coagulare un movimento. E l’illuminismo, poi, non era forse nato nei Caffè?
Uscì in strada e, faticosamente si recò in un quartiere piuttosto distante. Lì arrivato vide un bar alquanto affollato e, quindi, promettente. Il suo programma consisteva nell’ ordinare un normale caffè al banco, aprire casualmente il giornale testé acquistato e lasciar cadere un qualunque commento su una qualche misura governativa. Da quello, immaginava, si sarebbe innescata un’accesa discussione. Una fiammella sulla benzina. Ordinò il caffè con gesto sicuro, aprì quindi il giornale e, battendo le nocche sulla foto di un qualsivoglia ricco professionista, temporaneamente ministro “Pape satan, pape satan aleppe” si trovò a commentare.
«Come, scusi?» chiese il barista.
«Satripan cadupàn saleim» proseguì l’anziano pensionato.
«Non capisco.».
E quindi chiarì meglio il concetto, e aggiunse una pertinente citazione letteraria, «Rin manavé bilin sutù».
Seduti al tavolino, quattro studenti, in adorazione dell’ultimo Iphone, addirittura distolsero per un attimo gli occhi dal loro idolo «Ma che lingua parla, quello?». «Mai sentita». «Secondo me è una lingua antica.». «Come il latino?». «Peggio, una cosa tipo santrito». «E perché quello parla così?». «Sarà un vecchio professore fuori di testa», e scrollando le spalle, ritornarono ai pii esercizi di devozione.
Il pensionato, convinto non solo di parlar chiaro, ma anche di esprimere opinioni non certo banali, vedendo scorrere su uno schermo appollaiato in alto, a fianco del bancone, le immagini di ministri, politici e aspiranti salvatori della Patria, talvolta un po’ buffi e comici, si profuse in una lunga e acuta analisi che avrebbe messo in guardia chiunque dal soffermarsi su particolari di poco conto (oserei dire sovrastrutturali) come piccole ruberie o scandali, per concentrarsi, invece, sulle ben più pregnanti dinamiche sociali ed economiche del sistema occidentale e che concluse con «Rotales minca, toride gelu». Si guardò quindi attorno soddisfatto, certo di aver suscitato unanime e interessato consenso.
Il silenzio regnò sovrano, seppur perplesso.
Solo dopo un po’ fu rotto dal barista che, aprendogli i palmi delle mani davanti agli occhi (uno col pollice ripiegato) «Sono novanta centesimi. Novanta. Anderstend? Nainti.».
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lunedì 1 ottobre 2012

La ripresa è vicina

«E’ grave questa crisi, non credo che ne usciremo facilmente».
«Sei sempre pessimista. E’ un momento duro, ma ci risolleveremo, risorgeremo, come sempre.».
«Sei tu che pecchi di ottimismo. Questa volta è differente. Non passa giorno che non chiudano attività, proprio oggi ha chiuso il forno davanti al teatro. Erano tre generazioni che non si spegneva mai, giorno e notte, estate e inverno, ma oggi si sono fermati e hanno chiuso, per sempre.».
«Mi dispiace. Proprio stamattina sono capitato lì davanti e, vedendoli fermi, ho pensato che avessero chiuso per lutto, o per altra ragione, ma solo temporaneamente. Ma perché? Perché hanno cessato l’attività?».
«E me lo chiedi? Non girano soldi per la crisi, e i debiti. Poi la settimana scorsa è passato l’esattore per riscuotere le imposte arretrate, ed è stato il colpo di grazia.».
«E ora cosa faranno?».
«Non saprei. Sentivo dire che hanno dei lontani parenti, che pare abbiano fatto fortuna. Andranno da loro…».
«Che la Fortuna li accompagni. Ma non è certo il primo forno che cessa di vivere…».
«No, certamente, ma ogni giorno sempre più campi vengono abbandonati, incolti, e vecchie e gloriose officine smettono per sempre.».
«Lo so bene, i giovani mal tollerano il duro lavoro e preferiscono muovere verso le città, ricercando fortuna e ricchezza.».
«Sei cieco se pensi questo, se pensi che sia solo fuggire dalla fatica. Che senso ha spezzarsi la schiena se poi i nostri mercati sono invasi da ciò che viene da lontano ad un prezzo che sovente è la metà, se non meno, dei nostri?».
«Non posso negarlo, è arduo per i nostri artigiani o i nostri contadini far fronte a ciò che viene prodotto da migliaia di servi e schiavi che devono accontentarsi di un tozzo di pane e di uno spicchio d’aglio.».
«E’ come dici, e i ricchi, di conseguenza, diventano sempre più ricchi. Trasferiscono ricchezze al di là del mare, con esse comprano regioni intere e opifici, e uomini e donne che, anche se non servi, sono grati di lavorare sino a notte per quel pane che faccia sopravvivere loro e i loro figli. Con quelle ricchezze che lì accumulano, i ricchi qui tornano, e comprano per un nulla quelle terre che i nostri contadini abbandonano. E i poveri, quindi, sono sempre più poveri, privati dei campi e delle botteghe, si rifugiano nelle città dove sperano di sopravvivere raccogliendo le briciole che cadono dalle mense dei ricchi. Tutto ciò si accompagna alla corruzione di coloro che dovrebbero servire lo stato e alla degenerazione dei costumi: si narra che i ricchi o i loro figli organizzino festini spendendo denari che basterebbero a sfamare intere famiglie per un anno. Come stupirsi che proliferino superstizioni di ogni sorta e che, da ogni angolo, sorgano fanatici di religione e invasati?».
«Dipingi un quadro ben fosco, Gneo Sertorio, ma ammetto che non sia tutto d’invenzione. Altre volte, però, abbiamo attraversato momenti bui. I Patres ci raccontano dei Galli, di Annibale, delle guerre civili, delle proscrizioni. Eppure sempre ci siamo risollevati, e ogni volta siamo ritornati più potenti di prima. Accadrà lo stesso anche stavolta, vedrai, il nostro sistema è forte, non potrà mai cadere, la ripresa è ormai vicina.»
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