mercoledì 22 dicembre 2010

Canto di Natale

…e uno spruzzo di salsa Worcester. Quant’è uno spruzzo? Il ricettario era reticente. Un cucchiaino? mezzo? E poi perché si chiama così? Più tardi avrebbe controllato su Google, ma, per il momento, doveva concentrarsi sulla salsa rosa per i gamberetti;  i quali, in effetti, non avevano un aspetto molto vispo, erano proprio molto morti e parevano annegati da ere geologiche in quel liquido. Forse non era stata una grande idea prenderli dal discount. In ogni caso, l’antipasto era pronto. Il secondo era facile: scamorza. Un po’ troppo facile, probabilmente, non tutti lo considererebbero degno di un cenone natalizio, seppur solitario, ma a lui piaceva, e tanto bastava. Il dolce era un panettoncino mini. Rimaneva il piatto forte, il risotto ai funghi. Porcini. Almeno, questo dicevano al discount.
(Il 2010 si è aperto col terremoto di Haiti, che ha provocato oltre 200.000 morti: mentre disponeva con cura tutto il necessario per la creazione del risotto, dal televisore, tipica trasmissione di fine dicembre,  venivano ricordate le notizie principali dell’anno). Tagliere, mezzaluna (tedesca! affilata!: ne era fiero), olio, vino, funghi a bagno, riso (un etto: per una persona basta e avanza). Cipolla. Olio nel tegame, fuoco acceso, cipolla tagliuzzata (con la mezzaluna). Il brodo sobbolliva già da un po’ (col dado, viene bene lo stesso). I Natali precedenti erano stati diversi, a dire il vero, non erano con porzioni solitarie, ma meglio non pensarci, altrimenti i ricordi sarebbero tornati, e l’avrebbero strozzato come una rete che si stringe attorno ad un pesce, non lasciandogli scampo, via di fuga. No, niente ricordi: era il momento di versare la lacrimosa poltiglia (indispensabile la mezzaluna, fatto bene a comprarla!) nell’olio. Sfrigolio, odorino di buono e, ora, i funghi. Girare, mescolare, girare. Benissimo. E adesso il riso: versato, girare! Girare subito!  Ecco, l’olio è quasi tutto assorbito. Un bel bicchiere di vino (rosso) e ancora girare. Il liquido si fa solido, scompare il vino, solo riso. Brodo, presto!
Terremoto in Cile nel mese di febbraio.
Ecco, sì, non si è bruciato, e nemmeno attaccato. Ne verrà un gran risotto, l’importante è non distrarsi.
Campanello.
E chi può essere? Una mestolata in più per non fare attaccare, corsa alla porta, spioncino. Era l’interno 15 o, meglio, quella che vi abitava. E si chiamava? Come si chiamava? Ah, sì, Maria.
«Avresti mica una torcia? – gli chiese - Mi è saltata la luce e non riesco a sistemarla…».
Torcia, torcia… Sì, ce n’era una nel cassetto (e intanto un odore sospetto giungeva dal risotto: implorava brodo). Consegnò la torcia, ricevendo la promessa che l’avrebbe riportata in cinque minuti e schizzò a versare un altro paio di mestolate. Ma sarebbe bastato il brodo? Sì, per una cena di dieci persone.
A fine marzo le elezioni regionali. Vittoria del centro destra e della Lega. Sconfitta della sinistra.
Ecco, adesso il risotto procedeva proprio bene. Tra qualche minuto avrebbe potuto cominciare con il primo assaggio.
Campanello. Evidentemente l’int.15 riportava la torcia.
Ma poi, cosa faceva già quella Maria? Ci aveva parlato pochissime volte. Quando era successa la disgrazia a sua moglie era venuta a fargli le condoglianze, e forse era ancora col marito, prima che lui se ne andasse.
«Mi devi perdonare – si accorò prima ancora che la porta si aprisse del tutto – Mi rendo conto che in una serata come questa… Ma proprio non riesco a riaccendere la luce. Attacco il contatore, rimane su per qualche secondo ma poi salta tutto. Non è che potresti venire a dare un’occhiata? Non capisco nulla di queste cose».
Nemmeno lui, a dir la verità, ma si dà per scontato che ogni maschietto s’intenda di contatori e motori, anche se è una voce meno fondata di quella che dà per certa l’esistenza della Befana.
«Un momento» supplicò mostrandole i palmi. Ritornò in cucina e versò una dose abbondante di brodo, abbassò il fuoco a livelli minimi e la seguì all’interno 15, immerso nelle tenebre. Con fare esperto si avvicinò al contatore, del quale conosceva esattamente l’ubicazione in quanto l’int. 15 era sulla sua stessa colonna, e, armato di torcia, riattivò gli interruttori. La luce tornò rubiconda e lui, quasi trionfalmente stava allargando le braccia a dire «Visto? Era facile» quando le tenebre ripresero il sopravvento. Un elettricista, tanto tempo prima l’aveva detto «Ci dev’essere qualcosa in corto» e lui lo ripeté sussurrando (nel buio non si parla: si sussurra) e aggiungendo «Cosa c’è di attaccato?».
L’int. 15 fece un rapido esame di coscienza e cominciò ad enumerare luci, friggitrice, televisore e qualche altro elettrodomestico. «Bisogna staccarli tutti» sentenziò lui grave «dobbiamo capire qual è in corto».
Ma non aveva terminato di sussurrare che gli sovvenne il risotto. A tentoni trovò la mano di lei e le diede la torcia raccomandandole di staccare tutto. Sarebbe tornato subito. Si precipitò in discesa saltando gli scalini a due a due e arrivò giusto in tempo per versare un cucchiaio di brodo all’assetato risotto. Mescolò col fiatone, e per le scale e per il terrore che si fosse attaccato alla pentola, e, quando vide che sembrava andare per il meglio, la televisione  gli ricordò i disastrosi mondiali di calcio dell’Italia e la marea nera al largo della Louisiana.
Con molta calma ritornò su e trovò Maria che lo aspettava sulla soglia dell’int.15, armata di torcia.
«Tutto staccato» annunciò compita.
Molto bene. Si riavvicinò agli interruttori e riattaccò la luce. Finalmente. E poté vedere il tavolo, più o meno nella stessa posizione del suo, ma due piani più su, anche questo apparecchiato per una persona.
«Procediamo – esortò con tono fermo ed esperto - Riattacchiamo tutti gli apparecchi ad uno ad uno.».
Cominciò con le luci e, passando per la friggitrice, terminò col televisore: anche lei stava ascoltando quella rassegna, ora arrivata all’appartamento di Montecarlo. Pareva tutto in ordine, si guardarono attorno soddisfatti e sollevati quando, nel volgere di un secondo, il pensiero del risotto gli irruppe nella mente e, come se non bastasse, sprofondarono nuovamente nell’oscurità.
«Devo scappare! Torno subito» e si lanciò giù per le scale incuneandosi in una stanca famigliola che andava a cena da qualche poco amato parente, coi figli che, ancora sul pianerottolo, si lamentavano per la miseria dei regali ricevuti. Il risotto era salvo. Brodo, assaggio, manca ancora un po’. Risalita placida all’int. 15 dove ritrovò Maria che, nel mentre, aveva staccato tutto e riacceso la luce. Possibile che si fosse pettinata nel frattempo? Cominciarono dal televisore che, intanto, era arrivato alle proteste in Francia. Ma possibile che si fosse anche truccata? E quando? Tra un mestolo di brodo e l’altro?
«E poi – aggiunse Maria – quando è ritornata la luce ho visto una cosa strana.»
«Una cosa strana?»
«Sì, solo per un attimo. Sembrava che volasse laggiù, sopra il divano»
«Un uccello?»
«Ma no!»
«Un pipistrello?»
«No, per fortuna!»
«E allora cosa? Lo spirito del Natale?»
«Figurarsi. Avrebbe sbagliato strada. Sarebbe dovuto andare da quelli di sotto, li senti? Saranno in venti a festeggiare».
«Sì, li ho visti mentre scendevo…»
«Forse era solo un’ombra. Magari con le luci che vanno e vengono…»
«Il risotto!»
«Dici che era un risotto?»
«Devo scappare»
E mentre stava per uscire, la luce svanì ancora.
«Ritornerò!» promise a metà della prima rampa. Entrò in casa affannato, accolto dal bunga bunga del televisore e dalle proteste di Terzigno. Assaggio. Era cotto, il risotto, e commosso, lui: sembrava buono. Spento fuoco, coperchio, di nuovo le scale, altri invitati allegri come se dovessero andare ad un funerale. Maria lo accolse sul pianerottolo. Riprovarono almeno un paio di volte, ma proprio la luce non voleva saperne di restare.
«Ti piace il risotto? – propose dopo l’ultimo tentativo – Magari non ce ne sarà molto, ma  almeno non passiamo il Natale sulle scale…».
Sorpresa: i suoi fritti erano già quasi pronti, e anche gli antipasti di mare. Mancavano gli spaghetti alle vongole, per via della luce, però aveva un panettoncino anche lei.
Questa volta scesero insieme trasportando con calma la cena di Maria, e furono accolti dalla liberazione di Aung San Suu Kyi e dal diffondersi delle manifestazioni studentesche. Apparecchiò un posto in più mentre Wikileaks campeggiava nel mondo e le migliori giovani intelligenze italiane decidevano di pernottare sui tetti.
Effettivamente avrebbe giurato che s’era truccata. E aveva anche dei begli occhi.
Il risotto fu un successone. Se solo avesse avuto un po’ (un bel po’, in effetti) di sale in meno, non si fosse cotto troppo e i funghi avessero avuto il sapore di funghi, forse (ma solo forse) sarebbe stato migliore. Ma a loro parve ottimo. I gamberetti, a dire il vero, sapevano un po’ di chimica, ma la salsa Worcester ci stava benissimo. E nella giusta quantità. I fritti, poi, anche se erano poco fritti (la luce, mannaggia!) erano comunque  eccellenti. I panettoncini, infine, uno senza uvetta e uno con, furono divisi, metà per uno.
E gli studenti scendevano in piazza, e pareva che qualcuno cominciasse a chiedersi non solo cosa sarebbe accaduto stasera, ma domani, e, persino, dopodomani.
Maria aveva dimenticato lo spumante a casa sua, ma lui aveva, chissà da quanto tempo, uno champagne per festeggiare una grande occasione mai realizzata. Certo, era tiepido. Certo, la bottiglia aveva uno strato spesso di polvere, ma, con una passata sotto il rubinetto, ritornò quasi decorosa.
Stappò e versò nei calici. Veri.  Dell’Ikea, ma pur sempre calici da champagne. E poi il brindisi, che fu molto sobrio, solo  «Buon Natale», e «Buon Natale a te».
Ma la cosa veramente strana di tutta questa storia è che, negli anni seguenti, che passarono insieme felici e contenti, proprio non riuscirono a capire cosa fosse successo a quell’impianto elettrico, perché dal giorno dopo riprese a funzionare egregiamente, e continuò a farlo a lungo. Molto a lungo.

pubblicato sul numero 98 di Ucuntu

e su gli Italiani


Leggi tutto

venerdì 3 dicembre 2010

La nostra cultura

«Che, la vuoi una sigaretta?».
«La ringrazio, ma non fumo. Mi dica, sono sorti nuovi ostacoli alla mia richiesta?».
«Come? No… cioè sì… Ma proprio non la vuoi ‘sta sigaretta?».
«No, la ringrazio ancora. Per quanto riguarda la mia domanda, credevo di aver raccolto tutti i documenti necessari e risolto tutti i problemi.».
«Oh, sì, mica dico di no. Vero, vero, ci sta tutto. Non ti dà fastidio, no? se fumo…».
«A me personalmente no, ma mi pare sia vietato: ricordo la Legge 3 del 2003 (nota come Legge Sirchia) che proibisce il fumo negli ambienti di lavoro…».
«Ecco, ti pareva. Comunque sì, qualche problemino c’è, in effetti. I documenti sono a posto, in ordine. Tutto, ci sta tutto. E’ che non bastano i documenti, le carte non sono tutto…».
«Di cos’altro ancora ha bisogno?».
«Ecco, cioè, vedi. Quando si va in un posto bisogna un po’ rispettare, insomma, sì, adeguarsi alle usanze, insomma, al modo di fare di quelli da cui vai. E’ casa d’altri, insomma…».
«Mi pare di aver compiuto, in tal senso, innumerevoli sforzi.».
«E che, non lo so? Lo vedo, lo vedo, ti sforzi. E’ che se tu vuoi la cittadinanza italiana devi, come ti posso dire?, un po’ adeguarti, no?, a quelle che sono le tradizioni, no? Cioè la cultura italiana.».
«Mi permetto di rammentare che ho conseguito due lauree, di cui una specialistica. In letteratura italiana, come forse potrà notare sfogliando l’incartamento.».
«Visto, visto. No, niente da dire: l’italiano un po’ lo sai, quasi quanto me, ma non ci sta solo la faccenda della lingua. La cultura d’un popolo è una cosa un pochetto più complessa…».
«Ma ho compiuto anche studi di carattere storico e giuridico. Se avrà la bontà di sfogliare la documentazione troverà l’attestazione degli esami svolti presso…».
«Visto, visto.».
«E inoltre in questi dieci anni non ho infranto nessuna norma o legge. Potrà notare gli attestati dei versamenti Unico, le bollette, la tassa comunale sui rifiuti, il canone Rai, le quietanze dei pagamenti del condominio, il bollo per l’autoveicolo, l’assicurazione per il medesimo e l’abbonamento annuale ai mezzi pubblici, in aggiunta a tutti gli altri versamenti o pagamenti effettuati per l’Università, i ticket sanitari, le assicurazioni volontarie e obbligatorie, i contributi INPS. Non ho ricevute di multe per infrazioni al codice della strada perché non ne ho mai commesse…».
«Mai?».
«Mai, ne sono orgoglioso».
«Cioè, pure il canone Rai?».
«Certamente, è un obbligo di legge».
«Ecco, appunto, vedi, quello che stavo dicendo… Insomma, la cultura, le usanze della Nazione. Ecco, cioè, qui da noi è diverso, fa parte della nostra cultura. Cioè, pure il canone della Rai…».

«Ma ho sostenuto un esame di diritto costituzionale!».

«Vedo, vedo. No, è che lo studio, le leggi, la letteratura, cioè, non dico di no, sono pure una cosa importante, e chi dice di no (a scuola mi sono pure letto quasi tutti i Promessi Sposi), ma la cultura vera è un’altra cosa. Ti ci devi adeguare, cioè la cittadinanza è una cosa seria.».
«Debbo quindi ritenere che la mia domanda non sarà accolta?».
«No, non ora, ma in futuro non è detto. Ci si rivede, magari tra sei mesi, no?, così magari ti adegui un po’, t’ambienti un po’ meglio. A giugno. Il canone Rai, insomma, non è obbligatorio. Poi, sai, qui da noi la famiglia è importante.»
«Anche presso di noi. Sono orgoglioso della mia famiglia, amo mia moglie e i miei figli. Ecco, ho qui le loro foto.».
«E che non lo so? Anche la mia famiglia è importante. Molto. Se a giugno, capitasse, un pensierino, un segno, come dire, un segno di riconoscenza… In fondo ti ospitiamo, no?, ecco, capisci, sono queste le cose importanti, la nostra cultura, la famiglia.».

pubblicato su
gli Italiani
Informare per Resistere
Mamma
numero 97 di Ucuntu Leggi tutto