martedì 9 marzo 2010

Killer di ciccione slavate

Camminava barcollando ubriaca, ondeggiando il pesante culone (culone? – si chiese - non è che poi l’editore me lo rifiuta per le parolacce?) strizzato in una minigonna ridicola. I tacchi a spillo la facevano inciampare ad ogni passo, costringendola ad appoggiarsi ad ogni segnale o lampione che incontrava. Lui la seguiva nell’ombra, silenzioso come una pantera, a passi felpati. La gente che la incontrava si scansava ridendo. Lui allora, quando vedeva altre persone, indietreggiava per non far capire che la inseguiva. Ad un certo punto lei imboccò un vicolo buio e deserto. Era l’occasione! La raggiunse dietro le spalle e con la destra le premette il palmo sulla bocca. Poi la spinse contro il muro scalcinato (scalcinato: sì mi piace). La sua testa batté contro l’intonaco dipinto di fresco con un TOC sonoro ma i suoi capelli biondo paglia attutirono il suono. Lo guardò terrorizzata e lui, ghignando, tirò fuori dalla tasca il coltello a serramanico che fece scattare con un CLIC. Il sangue scorreva dalla ferita alla testa sulle sue chiome mentre lui iniziava il suo rituale. Lei lo sapeva che sarebbe morta. Capiva che sarebbe presto diventata la terza vittima di quello che i giornali chiamavano il killer delle bionde e i poliziotti il killer delle ciccione slavate. Le passò il coltello sulla fronte procurandole una ferita lacero contusa orizzontale da cui uscirono fiotti di sangue che le coprirono gli occhi azzurrastri. Lei fece per gridare, ma la bocca era stretta dalla morsa di acciaio, e non uscì niente. Allora lui col coltello le procurò una profonda incisione verticale, sempre sulla fronte, e formò la croce, il suo marchio. Poi con la lama scese sul naso, mentre il sangue scorreva come un ruscello, e con un colpo ben assestato gli tagliò la punta. I suoi occhi urlavano muti di terrore mentre la lama…
«Hai visto questa? – lo interruppe come una furia sua moglie gettandogli una bolletta in faccia - E’ la luce: scaduta da un mese. Non dovevi andare all’ufficio postale stamattina?»
«Non ho avuto tempo… Un capitolo importante, non potevo lasciarlo a metà»
«Figurarsi, un capitolo importante!»
…mentre la lama si infilava tra l’occhio sinistro e il naso. Arrivata in profondità, con un secco movimento del polso le cavò l’occhio che penzolò sulla guancia attaccato solo ad un fascio di nervi. Il sangue scorreva come un torrente mentre il suo occhio rimasto urlava muto di panico. Allora passò all’altro, non prima di aver reciso, con un taglio netto, i nervi che reggevano l’occhio sinistro facendolo cadere a terra e schiacciandolo col tacco. Ripetette l’operazione con il destro e adesso due caverne sanguinolente lo guardavano spettrali gridando mute di terrore. Scese quindi con la lama e con un solo colpo aprì la camicetta che stringeva le enormi tette (tette? Non è che poi mi tolgono le cose di sesso?) da mucca. Cominciò quindi a segare la tetta (forse se dico seno è meglio) il seno destro come se fosse un salame. Il seno cadde a terra facendo PLOF e lui, con un calcio, lo gettò lontano verso il cassonetto dell’indifferenziata e un cane randagio subito ci si avventò sopra e lo portò via. Ripetette l’operazione con l’altro. Il sangue scorreva a fiumi. La grassa bionda ormai non si reggeva più in piedi ed era lui, con la sua presa d’acciaio sulla bocca, che la teneva dritta schiacciata contro l’intonaco scalcinato ridipinto di fresco. Ma il rituale non era ancora terminato. La fece crollare sul selciato e con il coltello…
«Oggi in edicola c’era Concorsi per tutti. Guarda: assumono al Comune»
«Ne abbiamo parlato mille volte: non posso mettermi a studiare per un concorso, ho il libro da terminare.».
«E non lo puoi scrivere mentre studi o lavori? C’è un sacco di gente che lavora in banca e scrive.».
«Ma sono dei dilettanti: un vero scrittore è diverso. Ci vuole tempo, concentrazione, non ci si può distrarre…».
«Scrittore! Ma come fai a chiamarti scrittore se non hai mai pubblicato un libro?».
«Questo libro andrà bene, venderà, me lo sento. Tutti i grandi scrittori hanno avuto difficoltà all’inizio.».
« Lo dici ogni volta, ne avrai scritti dieci, almeno, da che siamo sposati. Tutti là, nell’armadio, l’unico che li ha letti.»
… con il coltello le squarciò la gonna. Lei era ancora viva, sussultava sul selciato. Lui allora le affondò la lama tra le cosce. Il sangue zampillò come una cascata e lei smise di muoversi. Colpì ancora molte volte con rabbia sino a quando tra le cosce della donna si aprì una caverna da cui strappò via con le mani carne e organi. Solo allora si sentì soddisfatto. Pulì la lama tra i capelli biondastri, la richiuse nel manico e, ghignando, si rimise il coltello in tasca.
«E fai piano con quella tastiera, domattina devo andare a lavorare presto, io - alzò lo sguardo al soffitto - Non è solo un fallito buono a nulla, è pure rumoroso». Poi lo fissò a lungo, disgustata, con i suoi occhi di quell’azzurro spento, slavato, circondati da una criniera informe di giallastri capelli color stoppa. «Buono a nulla» ripeté ancora, con disprezzo ancora più accentuato, prima di girarsi e di incamminarsi goffa e pesante verso la stanza da letto, procedendo faticosamente, con i fianchi larghi e cascanti che ondeggiavano a ogni passo.





Ascoltando i Count Raven

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