domenica 14 settembre 2014

La leggenda del Beato Matteo

Narran le chronicae come qualmente ‘l Beato Matteo iovane ascendesse a la collina de lo Fiesole, et ivi stando e la cittade di Florentia giuso rimirando, vide ch’ella cittade repleta era da vitii et dimoni et in cor suo ripromisesi di mondarla d’onne peccata.
L’erta collina discendendo, capitolli d’imbattersi in povero tapino, da molt’anni ormai di scrofola paziente, e ‘l Beato Matteo, le mani imposte sul suo capo, tosto ‘l sanò. Et avvenne puro, dismesso ‘l scrofoloso, che in passerotti, merli, cinciallegre, pettirossi et financo in uno Albatros de le Galapagos s’imbattette e con ciascheduno d’essi uccelli amenamente disquisì d’Aristotile et Platone non disdegnando l’economica congiuntura. Repente la Fama di tali prodigi diffusesi nel contado e, saio vestita, s’avanzò la Beata Maria Elena a implorar considerazione. L’ebbe, e subitamente principiò quel pio Ordine delle Boschive, ch’ a riformar lo Mundo cum implorazioni et decretazioni si votò. Nell’appressarsi a le mura di Florentia, cospicua moltitudine s’approprinquò, le Porte aprendo e le chiavi donando e primus super alios nomandolo.
Non giunto era anchora a la Signoria ch’ecco una voce di plurimo cencioso alta levossi “Guai a te, anima prava”. Venia, il cencioso, d’oltre Ponte Vecchio, anima assatanata, che il mondo in genere, e il capitalismo in specie avea in gran dispitto. Erat elli da li sette demoni de lo socialismo posseduto sì da bestemmiar le presenti cose  et le sorti magnifiche e progressive. Avea in juventude la rossa bandiera levata e di rivoluzion fantasticato ma, a tarda età ormai giunto, raminghi gl’ideali, s’accostumava a trascorrer breve vecchiezza maledicendo li maggior sui ch’a sperar lo crebbero. Bestemmiava l’ordine e ‘l sistema ma, deficitando l’uno et l’altro di presenziare, s’appagava nel contumeliar ciascheduno che incautamente transitasse per sua via. Da lungi dismesse le speranze di mutar del mondo ‘l destino, non s’era del tutto placato ‘l desio di mutar lo destino suo. Che, siccome insegnaci Eraclito, a inseguir vani ideali sovente s’abrinunzia a concreti guadagni. Era poi l’Eraclito? O forse trattavasi del Briatore, l’illustre pensatore coevo del Beato?
Come che sia, capitovvi in sui passi ‘l Beato Matteo lo quale, pur riprovato e contumeliato siccome costumanza, s’appressò al posseduto e mirandolo in angustie domandolli s’elli di minestra abbisognasse. E ‘l satanasse, mal intendendo “Ministero dici?” “Oh no, intendea minestra”. Al che l’ossesso, rassettandosi “Sia Ministra, se tal dee esser, acconcerommi all’uopo”. E ‘l Beato, levati gl’occhi al Cielo “Minestra, dicea, ma cosa fia una vocale dianzi all’avvenir?”. E fu questa la prima conversion che l’aurea historia ci tramanda de le molti e molti che seguiron nelli tempi avvenire.
Dopo picciol tempo, sanata e mondata et in fide mani lasciata Florentia,  s’incamminaron su la Francigena che mena a Roma per la Toscana. Et ivi giunti l’ossesso di minestre si saziò e ‘l Beato Matteo miracol mostrò, a principiar da la moltiplicazion de le mercedi con la trasmutazion del nulla in octaginta euri e della mirifica apparizion d’un bastimento inabissato nel porto di Genua.

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