sabato 10 dicembre 2011

Un po' morti, ma sobri

Io, barone Viktor von Frankenstein, ora che la vita mi sta sfuggendo, raccolgo qui i miei ultimi pensieri perché voi che leggete possiate trarne insegnamento. Non cercate di destare i defunti, non cercate di dar vita a ciò che è oramai passato. Ero giovane quando, preso dall’ebbrezza di ridar gloria alla mia Terra, mi finsi che avrei potuto modellare un Essere ex novo, che fosse la sintesi de’ più illustri e competenti che ci avevano preceduto.
Fu allora che pensai - me stolto! – alla possibilità di strappar il miglior pregio dei nostri antenati e, con questi frammenti scelti con cura, dar vita al salvatore della nostra Patria. Per settimane m’aggirai nei cimiteri, tra tombe anonime e cenotafi dimenticati. Alla luce di una fioca torcia m’addentrai in cripte nelle quali regnavano sovrani ratti e ragni. Cercavo quei nomi, ormai ricoperti da polvere spessa e tenace, che ricordassero un’anima grande e allora – orrore solo a confessarlo! – scardinavo quelle antiche lapidi, divellevo quelle bare muffite e frugavo – sì, frugavo! – resti miserandi che raccoglievo e meco portavo nel mio laboratorio. E lì, nel corso di lunghe e gelidi notti, costruivo l’essere perfetto, colui che avrebbe ridonato alla Patria il lustro meritato e dimenticato, prostituito da lustri di malgoverno e morali sconcezze. L’essere perfetto, sobrio e raziocinante, che ponderasse i pericoli e ingegnasse le soluzioni, questo cercavo - sì, questo cercavo! Non la ricchezza o la gloria, ma la salvezza della mia Terra - ma altro trovai.
Era una cupa notte di novembre, l’aria stuprata da violenti e accecanti lampi che riducevano a nulla la mia pur onesta lucerna, quando, richiamando tutte le energie che potei raggruppare, abbassai le leve che le convogliarono sull’Essere ancora inanimato. Era questi il morto prodotto di morti resti di illustri e sobri morti. V’erano le spoglie del grande filosofo così come quelle del magno giurista e dell’economista insigne. Tutti sobri, ancorché morti, e, riuniti, avrebbero formato quell’Essere il cui governo avrebbe ridonato lustro alla Patria – così, folle! pensavo.
L’energia proruppe infine copiosa e quegl’esseri inanimati preser vita e divennero vivi e l’Essere parlò e disse “pensioni”. Un lampo, subito seguito da uno squassante tuono che fece tremare le pur solide mura del castello, mi diede l’ultima sua immagine che serbo. Strappando le solide catene, allentando le inossidabili maglie, si liberò dai vincoli, ahimè troppo fragili. Ritto accanto al letto dove speravo di averlo confinato emise un urlo belluino, che quasi sovrastò il tuono di poco prima. “Riforme” gridò e poi, gettandosi verso la finestra, frantumò i vetri e sparve nella notte. Guadagnò la campagna, e principiò a vivere nei pressi degli isolati villaggi del contado da cui, nei mesi seguenti forti si levarono pianti e stridor di denti. Solo i nobili e i ricchi, ben protetti da munite mura, poterono salvarsi. Questo io confesso, giunto al termine della mia vita terrena. Possa tu, ignoto lettore trarne giovamento. Lieve mi sia la terra.


pubblicato su I Siciliani
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lunedì 14 marzo 2011

La fabbrica dell'unità.

A vederli quieti, nell’intervallo tra un turno e l’altro, soprattutto all’alba, parevano quasi degli idoli antichi col braccio rivolto verso un cielo che pur doveva esserci, da qualche parte, anche se nascosto dal soffitto. Ma poi suonava la sirena e l’onda di tute blu che entrava nel capannone si sfrangiava e tante gocce si fermavano davanti ad essi, una per idolo. Ai lati, dei grossi cesti: quello di sinistra colmo di profilati di plastica nera, sembravano anguille morte; vuoto, ancora, quello di destra. Con la mano sinistra l’operaio pescava dal cesto corrispondente e disponeva il profilato, facendolo passare per ingranaggi già tarati, poi, con la destra, tirava la leva, il braccio, che, KDANG, azionava una pressa che lo piegava e gli dava la forma giusta, quella della guarnizione del finestrino laterale di una millecento. Ormai pronta, la guarnizione veniva presa con la destra e lasciata cadere nel cesto a lato mentre la sinistra era già alla ricerca di una nuova e morta anguilla. KDANG, ancora, e KDANG, per otto ore, e KDANG, per cinque giorni, e KDANG, per anni.
«Sei nuovo?». KDANG.
«Ieri sono entrato». KDANG.
«Come ti chiami?»
«Ciro». KDANG.
«Io Vittorio. Non sei di qui.». KDANG
«Afragola».
«E dove rimane?» KDANG
«Napoli»
«Ah». KDANG
Nero spesso e unto, di plastica e pece, si attacca ai pavimenti, alle mani, ai polmoni.
Sirena, nuovo turno KDANG, altra sirena, altro turno, KDANG. Altre sirene, altri turni. KDANG
«Sei sposato?»
«Ho la fidanzata, giù al paese». KDANG
«Ciro, posso chiederti una cosa?»
«Cosa?» KDANG
«Ma è vero che nella vasca da bagno coltivate l’insalata?» KDANG
Altri turni, KDANG sempre uguali. KDANG, KDANG.
«Ciro, ha mai sentito parlare del Sindacato?».
«Ho fatto qualcosa giù, con i braccianti. KDANG Le terre.».
«C’è una riunione alla fine del turno. KDANG Per lo sciopero, il contratto.».
E la riunione ci fu, con operai di quasi tutte le regioni: raramente si erano visti in Italia, prima di allora, tanti italiani nella stessa stanza. E poi lo sciopero, a cui seguirono le manifestazioni KDANG, e il rinnovo del contratto, altre manifestazioni, KDANG, altri contratti, Pertini, e poi KDANg arrivò la crisi KDAng, l’inflazione KDang, la cassa integrazione Kdang, la mobilità kd..., la chiusura della fabbrica, ..... . La pensione anticipata.

Era un pastore, tra i suoi antenati doveva esserci un maremmano. Quando vide il suo rivale, da lontano, gli si lanciò contro, superando a balzi , nella corsa forsennata, sterpaglie e copertoni spaccati dal sole, lattine e buste lacerate. Col suo peso atterrò il nemico, più piccolo, un tenace molosso, che da sotto digrignò i denti cercando di azzannargli la gola. «Fermi, Fermi!» urlavano i padroni che si avvicinavano con la barcollante premura degli anziani.
GRRRR Il pastore lo teneva schiacciato a terra, ma il molosso, dopo aver morso l’aria un’infinità di volte, riuscì ad afferrare un lembo di pelle, «Fermi!» e una macchia rossa sporcò il candido pelo. Arrivarono i padroni, ansimanti, separarono i cani, dita nel collare. UAUAH. «Buono, buono».
«Vittorio!»
«Ciro!» UAUAH
«Quanto tempo...».
«Sì, è un po’».
«Come va? La tua famiglia? GRRRR Buono!».
«Bene, grazie. I figli sono cresciuti, s’arrangiano... lavoretti.». UAUAH
«Anche il mio... progetti, consulenze, cambia di continuo. Ma lavora da solo, non ha colleghi, compagni...».
«Vieni spesso qua?».
«Davanti alla nostra fabbrica? GRRRR Quasi mai. Sono quasi sempre giù, al Paese.».
«Certo, ora è tutto diverso. E stai fermo!».
«Qui c’erano i parcheggi. UAUAH Non si riusciva a trovare posto.».
«Ora lì, la notte, ci dormono gli extracomunitari.».
«Lo so. GRRRR La settimana scorsa hanno fatto una manifestazione per mandarli via.» UAUAH.
«Da bravo, su! Mio figlio grande c’è andato..».
«Anche il mio.».
«Il tuo? Gennaro?».
«Si fa chiamare Jenny. GRRRR. Il Jenny».
«Ciro, io devo andare UAUAH Non riesco più a tenerlo».
«Nemmeno io. Ci vediamo, allora...».
«Sì, ma senza queste belve»UAUAH.
E si allontanarono, in direzioni diverse, portandosi dietro i ringhi e i latrati che lentamente si affievolirono. E il silenzio del freddo mattino ritornò da padrone sui copertoni spaccati, sulle lattine, sulle sterpaglie e sulle fabbriche scrostate e abbandonate.




Questo raccontino è stato scritto per un numero speciale di Ucuntu dedicato ai 150 anni dell’Unità d’Italia. Credo che, se l’unità dello Stato è stata raggiunta con il Risorgimento, quella della Nazione (ammesso che sia stata conseguita) è avvenuta più tardi: nelle trincee del Piave, per esempio. O alle catene di montaggio del dopoguerra. Ho preferito quindi parlare di questo aspetto, anche perché credo che l'inevitabile declino di quel tipo di economia industriale incentrata sulla fabbrica, che pur aveva tantissimi difetti, abbia favorito la nascita di divisioni e, in generale, la disgregazione sociale. Leggi tutto

martedì 22 febbraio 2011

Non ti sarebbe lecito

Dal Vangelo di Marco : Erode infatti aveva fatto arrestare Giovanni e lo aveva messo in prigione a causa di Erodìade, moglie di suo fratello Filippo, che egli aveva sposata. Giovanni diceva a Erode: "Non ti è lecito tenere la moglie di tuo fratello".

«Ma non vi pare che questo Giovanni stia violando la mia privacy?».
«Non c’è dubbio, Erode.»
«Perché si interessa tanto a ciò che faccio a casa mia, nel chiuso delle mie stanze? Oh, eccolo che arriva. Dico a te, Giovanni, perché continui a criticarmi? Sarai forse invidioso?».
«Di te, Erode? Mai, ma la tua condotta scandalosa copre di vergogna e discredito l’intero popolo.»
«E perché mai il popolo dovrebbe essere screditato se io giaccio con Erodiade o con qualunque altra donna? E chi sei tu per giudicarmi? Ti credi forse perfetto?».
«No, tutt’altro, ma agli occhi degli altri popoli il capo diventa il simbolo dei suoi sudditi, e se quegli è corrotto, tale appare, agli altri, tutto il popolo che egli governa e regge.».
«Molti si comportano come me, ma tu solo me attacchi, perché sono il re. Se non lo fossi mi ignoreresti.».
«Tu lo dici, Erode. Perché è proprio a te, che sei capo, che è richiesto l’essere virtuoso. Non potrai mai ordinare ad un suddito di prendere l’armi e di andare a rischiare la vita per te, se quel suddito saprà, in cuor suo, di essere migliore di te. Se accetti la corona, devi accettarne il peso.»
«Sei solo un folle moralista, Giovanni detto il Battista. Rinchiudetelo, fatelo tacere.».

Come finì la vicenda lo sappiamo. Nel corso di una festicciola con avvenenti e discinte fanciulle a Palazzo Reale, Salomé, la giovanissima figlia di Erodiade, si esibì in una danza
particolarmente audace che conquistò il vecchio e lussurioso sovrano il quale, ormai perso il senno, promise alla minorenne qualsiasi cosa ella volesse. Sappiamo che, istigata dalla madre, chiese la vita di Giovanni il quale divenne, in conseguenza, San Giovanni, il Battista. E anche il Decollato, peraltro.

1980 anni dopo, mese più, mese meno.

«Signor Presidente, vi sono argomenti dei quali dobbiamo assolutamente discutere, sono della massima rilevanza per la Chiesa, non possiamo procrastinare oltre.»
«Comprendo, Eminenza. Lei forse pensa al fatto che non è il caso che presenzi a funzioni religiose avendo contratto due matrimoni e condotto una vita libera prima, durante e dopo ciascun matrimonio. Ma è una falsità. In realtà, Eminenza, ogni qual volta partecipo ad una funzione religiosa penso ad altro, glielo giuro sui miei figli. Non mancherei mai di rispetto alla Chiesa partecipando attivamente e con convinzione ad una funzione, mi creda.»
«E’ un tema alquanto complesso, ne convengo, ma la Chiesa è angustiata da altri e più rilevanti problemi.».
«Allora saranno le voci che mi dipingono come un corruttore di giudici ed un evasore. Eminenza, sono solo dicerie senza alcun fondamento, completamente false: ho personalmente provveduto a prosciogliermi da tutte le accuse che mi riguardavano.».
« Si tratta di problematiche non nuove, Signor Presidente, ma la Chiesa oggi è gravemente turbata per un’altra questione.».
«Capisco, Eminenza, certamente allude a quelle ricostruzioni del tutto fantasiose e lontanissime dalla realtà secondo le quali avrei avuto rapporti sessuali a pagamento con minorenni. E’ assolutamente falso: non erano minorenni ma aspiranti maggiorenni, tant’è che ora lo sono diventate.»
«Questo a cui accenna è in effetti un argomento delicato, molto delicato, ma altro è il cruccio della Chiesa. Ricorda, vero, quella questione dell’Ici?». Leggi tutto

lunedì 7 febbraio 2011

L'ultima bottiglia

«Ne è rimasta ancora, di quella lasagna?».
«Sì una teglia. Ma hai ancora fame? Abbiamo appena finito il gelato.».
«Portala, portala, prima dell’amaro ci sta benissimo.»
«Non so se è il caso, è l’ultima: poi non ne resterà più niente per chi arriva più tardi.».
«S’arrangeranno, ne cucineranno un’altra.».
«E come? La pasta è finita, e mancano anche molti altri ingredienti.».
«Vuol dire che mangeranno qualcos’altro. Non di sola lasagna vive l’uomo. Dai, portala.».
«Non mi sembra giusto, dovremmo pensare a quelli che vengono dopo.».
«Sono in grado di pensarci da soli, hanno tutto il tempo per farlo. Ma, prima dell’amaro, ora che ci penso, c’è ancora un po’ di vino?»
«Una bottiglia, solo una.».
«Ce la faremo bastare.».
«Così rimarranno anche senza vino!».
«Berranno birra, si vive anche senza vino.».
«Si vive, sì, ma si vive peggio».
«Inventeranno qualcosa, s’arrangeranno, sono giovani.».
«Non dovremmo fare così, non possiamo finire tutto».
«E perché no? È roba nostra, in fondo.».
«A dire il vero molte cose le abbiamo trovate quando siamo arrivati qui.».
«Appunto: ora sono nostre.».
«Certo, ma forse potremmo anche noi lasciare qualcosa a chi sta per arrivare.».
«Ci manca solo questo. Già prendo una miseria di stipendio, almeno mi tolgo qualche soddisfazione.».
«Sarà un miseria, ma lo stipendio ce l’hai, così come la pensione assicurata. ».
«E allora? Ho rubato, forse?».
«No, ma questi che stanno per arrivare nemmeno  sanno cosa sia uno stipendio, e  la pensione forse non l’avranno proprio, neanche a 75 anni.».
«Con tutti i problemi che ho io, non è certo il caso di affliggermi con quelli degli altri. E poi, hanno vent’anni, trent’anni, beati loro. Sai cosa darei, io, per poter avere quell’età? E dovrei compatirli? E dovrei rattristarmi per loro? Ma figurati! Buona questa lasagna, peccato che sia finita. Non trovi che faccia un po’ freddo? Aumenta un po’ il riscaldamento.».
«Ci credo che hai freddo , con le finestre spalancate.».
«Non mi piace l’aria viziata. Per piacere, alza la temperatura.».
«Mi sembra uno spreco, e non saremo noi che pagheremo la bolletta.».
«E allora? Devo morire di freddo?».
«Ma se accostassimo le finestre?»
«E poi morire soffocato?».
«Esageri sempre. Non possiamo esaurire il combustibile solo perché hai paura di morire soffocato».
«Come? Sta finendo il carburante?».
«Temo di sì, non ne rimane più per molto, ormai.».
«E che fine ha fatto?».
«L’abbiamo consumato.».
«Ma ne rimarrà fino a che resteremo qua?».
«Sì, forse. Ma poco oltre.».
«Questo è l’importante. Dai, alza la temperatura, sto morendo di freddo.».
«Così finirà prima e non ne resterà nulla…».
«E le lasagne sono finite, e il vino è finito, e il carburante sta per finire. Per non parlare di tutto quello che è terminato prima. E come mai? Un tempo, di questa roba, ce n’era in abbondanza. Te lo dico io cosa è successo: sono stati i cinesi del piano di sotto. Prima che arrivassero avevamo di tutto.».
«I cinesi del piano di sotto? Ma se campano con una ciotola di riso a testa , e d’inverno sigillano le finestre e  vanno in giro  in casa vestiti come dei babbi Natale!».
«Sono stati i cinesi, te lo dico io. E ora alza un po’ la temperatura, l’aria che viene da fuori stasera è fredda e rischio di ammalarmi.  Comincio ad avere un’età.».

Pubblicato sul numero 103 di Ucuntu

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