sabato 1 dicembre 2012

Qui ci giochiamo tutto

«Stiamo qui mica a scherzare, eh? Qui ci giochiamo tutto».
«Lo sappiamo, Pierluigi. E’ inutile che ce lo ricordi».
«Regole chiare, correttezza. Non scanniamoci tra noi perché loro non aspettano altro. Tutto chiaro?».
«Tutto chiaro» confermarono gli altri.
«E allora possiamo iniziare, e vinca il migliore».
«Cioè io» puntualizzarono tutti gli altri quattro.
«E allora cominciamo. Io prendo i carrarmati rossi».
«Quelli appartengono a me: sono un epifenomeno discutibile ma riconoscibile di un inveramento della storia della sinistra della quale, a differenza tua e del tuo partito, non ho mai fatto abiura. Ma con leggerezza, e gioia.».
«Ve li lascio: sono un simbolo del passato che dobbiamo rottamare. Prendo i blu.».
«Ci sono carrarmati rosa?» chiese l’unica donna del gruppo. Non, non c’erano e si accontentò dei viola.
«E bianchi? Sono affezionato al bianco». Nemmeno. Gialli? Vada per i gialli.
L’Armata Rossa fu giocata ai dadi, la vinse Pierluigi. Lo sconfitto ripiegò sulle Verdi, ma si consolò facilmente, diceva che era un colore a lui congeniale.
Rimasero inutilizzate le armate nere. Per fortuna.
Ognuno aveva il proprio obiettivo che non comunicava apertamente a nessuno ma che cercava di raggiungere con manovre di sponda, posizionamenti strategici e alleanze variabili.
Il Siam fu fatale all’unica donna. Arroccatasi lì, decisa a conquistare l’Oceania per farne una ridotta da utilizzare come tana sicura per riaffermare la sua alterità e assistere riparata agli scontri altrui, non riuscì a conquistare il cuore dell’Indonesia. Indebolita, impoverita negli altri territori, subì alla fine l’attacco concentrato di India e Cina che la costrinse al ritiro.
L’austero nostalgico dei Bianchi, seguì la sua indole e si rifugiò al Nord. Ma lì rimase, intrappolato tra Groenlandia e Islanda, non sapendosi decidere tra America del Nord ed Europa. E come spesso accade, incerto se puntare sull’uno o l’altro Continente, rimase in mezzo al guado, disperdendo le sue forze ed esponendosi ad attacchi multipli. Con molto realismo si dichiarò sconfitto e lasciò il campo ai tre rimasti.
Fu allora che la lotta si fece serrata. Verdi, Rosse e Blu. Strategie differenti: i Blu andavano all'attacco baldanzosi, sempre pronti a ripiegare strategicamente in caso di difficoltà. Le Verdi, arroccate in Sud America, con potenti teste di ponte in Africa e nel sud del mondo, sferravano attacchi repentini al cuore dei continenti settentrionali. E le rosse, con tattica solida e prudente, arroccate in Europa, tenevano il centro del tabellone.
Difficile vincere rapidamente quando gli avversari sono ben arroccati e hanno solide teste di ponte. Le ore scorrevano lente, tra manovre diversive e attacchi su territori periferici e poco protetti al solo scopo di guadagnarsi una carta in attesa dell’occasione propizia.
L’ora era tarda, le strade ormai svuotate e silenziose. Si passò dalle birre ai caffè quando la notte cedette all'alba e i primi biscotti salutarono il levarsi del sole.
A metà mattinata un inatteso rovesciamento produsse l’imperiosa avanzata di un’armata che, territorio dopo territorio, riuscì a raggiungere l’obiettivo.  Vittoria. «Una straordinaria vittoria» la salutò il vincitore.

Esausti bevvero l’ultimo caffè mentre qualcuno, per sapere cosa era successo nel mondo durante la partita, accese il televisore. Si vedeva il Quirinale, e una voce fuori campo informava che “Il Senatore Monti ha ricevuto, dalle mani del Capo dello Stato il mandato a formare il suo secondo Governo».
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martedì 30 ottobre 2012

Satripan cadupàn saleim

Si svegliò nel cuore della notte, l’anziano pensionato, inquieto come s’era addormentato. Era sdraiato sul divano, davanti al televisore ancora acceso ma ormai muto. Per qualche momento si sentì smarrito: perché non era nel suo letto? Ma poi, a poco a poco, i ricordi affiorarono: la sera prima, il suo desiderio di cambiamento, di ribellione, che l’aveva spinto a raggiungere quella vecchia sezione di partito vicino casa. Salvo scoprire che, nel frattempo, era diventata ben altro. Segni dei tempi, era finita l’epoca dei partiti di massa, era iniziata quella dei contatti personali, ancorché non sempre intimi.
E quindi doveva cambiare tattica e strategia e la mattina dopo, di buon’ora, avrebbe iniziato la sua personale opera di mobilitazione.
Rinfrancato, quando ormai albeggiava, guadagnò il letto, accompagnato da un “finalmente” della curiosa vicina che quasi stava cedendo al sonno.
“Bisogna ricominciare dai bar”, si ripromise: aveva individuato in quei centri spontanei di aggregazione il luogo privilegiato per ripartire, per coagulare un movimento. E l’illuminismo, poi, non era forse nato nei Caffè?
Uscì in strada e, faticosamente si recò in un quartiere piuttosto distante. Lì arrivato vide un bar alquanto affollato e, quindi, promettente. Il suo programma consisteva nell’ ordinare un normale caffè al banco, aprire casualmente il giornale testé acquistato e lasciar cadere un qualunque commento su una qualche misura governativa. Da quello, immaginava, si sarebbe innescata un’accesa discussione. Una fiammella sulla benzina. Ordinò il caffè con gesto sicuro, aprì quindi il giornale e, battendo le nocche sulla foto di un qualsivoglia ricco professionista, temporaneamente ministro “Pape satan, pape satan aleppe” si trovò a commentare.
«Come, scusi?» chiese il barista.
«Satripan cadupàn saleim» proseguì l’anziano pensionato.
«Non capisco.».
E quindi chiarì meglio il concetto, e aggiunse una pertinente citazione letteraria, «Rin manavé bilin sutù».
Seduti al tavolino, quattro studenti, in adorazione dell’ultimo Iphone, addirittura distolsero per un attimo gli occhi dal loro idolo «Ma che lingua parla, quello?». «Mai sentita». «Secondo me è una lingua antica.». «Come il latino?». «Peggio, una cosa tipo santrito». «E perché quello parla così?». «Sarà un vecchio professore fuori di testa», e scrollando le spalle, ritornarono ai pii esercizi di devozione.
Il pensionato, convinto non solo di parlar chiaro, ma anche di esprimere opinioni non certo banali, vedendo scorrere su uno schermo appollaiato in alto, a fianco del bancone, le immagini di ministri, politici e aspiranti salvatori della Patria, talvolta un po’ buffi e comici, si profuse in una lunga e acuta analisi che avrebbe messo in guardia chiunque dal soffermarsi su particolari di poco conto (oserei dire sovrastrutturali) come piccole ruberie o scandali, per concentrarsi, invece, sulle ben più pregnanti dinamiche sociali ed economiche del sistema occidentale e che concluse con «Rotales minca, toride gelu». Si guardò quindi attorno soddisfatto, certo di aver suscitato unanime e interessato consenso.
Il silenzio regnò sovrano, seppur perplesso.
Solo dopo un po’ fu rotto dal barista che, aprendogli i palmi delle mani davanti agli occhi (uno col pollice ripiegato) «Sono novanta centesimi. Novanta. Anderstend? Nainti.».
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lunedì 1 ottobre 2012

La ripresa è vicina

«E’ grave questa crisi, non credo che ne usciremo facilmente».
«Sei sempre pessimista. E’ un momento duro, ma ci risolleveremo, risorgeremo, come sempre.».
«Sei tu che pecchi di ottimismo. Questa volta è differente. Non passa giorno che non chiudano attività, proprio oggi ha chiuso il forno davanti al teatro. Erano tre generazioni che non si spegneva mai, giorno e notte, estate e inverno, ma oggi si sono fermati e hanno chiuso, per sempre.».
«Mi dispiace. Proprio stamattina sono capitato lì davanti e, vedendoli fermi, ho pensato che avessero chiuso per lutto, o per altra ragione, ma solo temporaneamente. Ma perché? Perché hanno cessato l’attività?».
«E me lo chiedi? Non girano soldi per la crisi, e i debiti. Poi la settimana scorsa è passato l’esattore per riscuotere le imposte arretrate, ed è stato il colpo di grazia.».
«E ora cosa faranno?».
«Non saprei. Sentivo dire che hanno dei lontani parenti, che pare abbiano fatto fortuna. Andranno da loro…».
«Che la Fortuna li accompagni. Ma non è certo il primo forno che cessa di vivere…».
«No, certamente, ma ogni giorno sempre più campi vengono abbandonati, incolti, e vecchie e gloriose officine smettono per sempre.».
«Lo so bene, i giovani mal tollerano il duro lavoro e preferiscono muovere verso le città, ricercando fortuna e ricchezza.».
«Sei cieco se pensi questo, se pensi che sia solo fuggire dalla fatica. Che senso ha spezzarsi la schiena se poi i nostri mercati sono invasi da ciò che viene da lontano ad un prezzo che sovente è la metà, se non meno, dei nostri?».
«Non posso negarlo, è arduo per i nostri artigiani o i nostri contadini far fronte a ciò che viene prodotto da migliaia di servi e schiavi che devono accontentarsi di un tozzo di pane e di uno spicchio d’aglio.».
«E’ come dici, e i ricchi, di conseguenza, diventano sempre più ricchi. Trasferiscono ricchezze al di là del mare, con esse comprano regioni intere e opifici, e uomini e donne che, anche se non servi, sono grati di lavorare sino a notte per quel pane che faccia sopravvivere loro e i loro figli. Con quelle ricchezze che lì accumulano, i ricchi qui tornano, e comprano per un nulla quelle terre che i nostri contadini abbandonano. E i poveri, quindi, sono sempre più poveri, privati dei campi e delle botteghe, si rifugiano nelle città dove sperano di sopravvivere raccogliendo le briciole che cadono dalle mense dei ricchi. Tutto ciò si accompagna alla corruzione di coloro che dovrebbero servire lo stato e alla degenerazione dei costumi: si narra che i ricchi o i loro figli organizzino festini spendendo denari che basterebbero a sfamare intere famiglie per un anno. Come stupirsi che proliferino superstizioni di ogni sorta e che, da ogni angolo, sorgano fanatici di religione e invasati?».
«Dipingi un quadro ben fosco, Gneo Sertorio, ma ammetto che non sia tutto d’invenzione. Altre volte, però, abbiamo attraversato momenti bui. I Patres ci raccontano dei Galli, di Annibale, delle guerre civili, delle proscrizioni. Eppure sempre ci siamo risollevati, e ogni volta siamo ritornati più potenti di prima. Accadrà lo stesso anche stavolta, vedrai, il nostro sistema è forte, non potrà mai cadere, la ripresa è ormai vicina.»
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lunedì 6 agosto 2012

Quella sezione...


Tagli. Spending review. Art. 18.
Licenziamenti.
Crisi.
Non poteva, come tutte le sere, macerarsi solitario davanti alla televisione. Bisognava agire, insieme, collettivamente.
Ma come?
E con chi? Alla sua età, poi, in effetti ormai terza di diritto?
Questo rimuginava l’anziano pensionato del quarto piano su una cosa, almeno, sbagliandosi. Non era solo, infatti, dato che le sue serate, come quelle di quasi tutto lo stabile, erano accuratamente osservate dalla signora del quinto piano del palazzo di fronte. Ma, ahilei, per quanto lo riguardava, si trattava di spettacoli poco stimolanti: non un pettegolezzo serio poteva essere creato su un pensionato vedovo che non riceveva nessuno, con orari regolari come un cronometro e che passava le serate davanti alla televisione. Altri piani erano certamente più interessanti. Eppure, alla curiosa signora, quel pensionato “non la raccontava giusta” ed era certa che sarebbe riuscita prima o poi a smascherarlo.
La crisi, si diceva. Una sera, apparentemente uguale a tutte le altre, il pensionato si rammentò che non distante sorgeva una veneranda sezione del Partito. Il quale Partito ormai era trapassato, ma, forse, al suo posto ci sarebbe stato un qualche erede variamente nominato. Certamente lì si sarebbe discusso e, forse, lottato. Bisognava tentare.
Infrangendo  consolidate tradizioni, il pensionato spense quindi il deprimente dibattito televisivo e si vestì di tutto punto, smettendo la logora vestaglia. La cosa destò la sfrenata curiosità della signora di fronte, un po’ depressa perché la vispa inquilina dell’appartamento più interessante (il terzo piano) era già in vacanza. Aiutata da un antico binocolo da teatro, seguì quindi con lo sguardo il pensionato mentre usciva e si dirigeva verso un cortiletto appartato, dietro l’isolato di fonte. Lì sorgeva quella famosa sezione davanti alla quale, essendo così nascosta, il pensionato non passava da anni. La signora abitava in un appartamento con strategico doppio affaccio, il secondo dei quali dava sul retro, proprio su quel cortiletto. E quando vi vide incedere il suo caro spiato “lo sapevo, io!”esclamò trionfante. Luci rosse brillavano sulla porta, e ciò lasciò dapprima perplesso l’anziano signore, che si sforzò di attribuire all’avvento della tecnologia la sostituzione delle rosse bandiere con più moderne luci sfavillanti. Avvicinandosi non poté non notare, seppur ancora da lontano, la trionfale scritta “Privé” che, pensò magnanimamente, forse rendeva noto che erano ammessi solo iscritti al partito. Ma, avvicinandosi ulteriormente, cominciò a rassegnarsi al fatto che, forse, qualcosa era cambiato. Alle pareti le foto erano ispirate al realismo, ma non esattamente del tipo socialista, e l’abbigliamento dei militanti e, soprattutto, delle militanti, non pareva ispirato alla sobrietà rivoluzionaria. “Lo sapevo, lo sapevo!” gongolava intanto, dall’alto e da lontano, la curiosa signora.
Al pensionato non restò altro che tornare lentamente a casa, dove si spogliò, reindossò la logora vestaglia e si riaccomodò sulla vetusta poltrona in pelle di un animale la cui specie, probabilmente, era nel frattempo estinta.
Accese il televisore sintonizzandosi casualmente su un qualunque canale locale. Parlavano di calciomercato ma lui, coi pensieri, era altrove, in un altro tempo. E così, tra una trattativa e un ingaggio milionario, sotto lo sguardo vigile della signora, s’addormentò. Più in là, nella notte, le programmazioni normali terminarono e, mentre sognava inquieto, apparvero pubblicità di chat accompagnate da immagini alquanto esplicite. “Lo dicevo io. – gongolò l’insonne signora – Lo dicevo che in fondo è solo un vecchio maiale”.


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sabato 30 giugno 2012

Vergine, di nuovo

Ma che meravigliosa giornata. Come si fa a non rinascere con un sole così? Mi sento nuova, ancora, dopo quasi vent’anni. Tanti… Ma non voglio pensare al passato, in una mattinata come questa. Nuova, questo è l’importante, e vergine. E un po’ mi dispiace, sì, per tutti gli schiavi del passato, nostalgici di altre epoche e altre storie. Il futuro, bisogna guardare al futuro, bisogna costruirlo. E chi può farlo se non persone nuove, come me? Il futuro ha bisogno di me, il paese ha bisogno di me. E non è la prima volta.
Anche allora ero nuova e vergine, in un mondo uscito sfiancato da una guerra mondiale, la prima. Ero circondata da tanti ragazzi ardimentosi che cantavano la giovinezza  e le faccette nere combattendo la barbarie del comunismo. Erano belli, tutti vestiti di nero, e volevano ricostruire la Patria che i vecchi politicanti avevano svenduto. Si doveva far risorgere l’Impero, quell’Impero che ci spettava per storia e diritto, quel diritto che noi avevamo inventato. Erano anni bellissimi.
Solo che poi sono un po’ invecchiata. E credo anche di essermi data a qualcuno. Ma non importava perché poi, in una bella mattina di sole come questa, appena finita la seconda guerra, mi risvegliai ancora nuova e vergine.
Quanto erano belli e moderni quegli americani, coi loro attori alti e interessanti. Come si faceva a non sentirsi rinascere? Promettevano la luna, e mantennero la promessa. E ci hanno aiutati a sconfiggere quei comunisti che volevano farci divorziare a forza, e chiudere le nostre Chiese e deportare il Papa in Siberia. Erano anni spirituali, le messe la domenica mattina e il bucato con la nuova lavatrice il pomeriggio. E la televisione, prima bianco e nero e poi a colori. Chissà?, forse furono proprio quei colori che, a poco a poco mi fecero capire che era passato un po’ di tempo. Quelle facce che, in bianco e nero, mi sembravano tanto austere e importanti, a colori parevano un po’ noiosette. E di cose da vedere , a colori, ce n’erano ormai tante, e divertenti. La vita in fondo è una sola, va vissuta, in allegria. Mi sentivo un po’ invecchiata, un po’ annoiata. Mi ero sposata, nel frattempo? Sì, forse, in Chiesa, ma un bel giorno, luminoso e colorato, ritornai ancora nuova e vergine, pronta, come solo le persone nuove possono fare, a ricostruire il Paese.
E lui era proprio colorato, azzurro, e simpatico. Sorrideva e tutte le cose noiose diventavano una risata, una barzelletta. Quanto mi faceva ridere, si vedeva che era l’ uomo delle cose importanti, la televisione, il calcio, le belle donne, le belle case, lo shopping (si scrive così?). I potenti di prima erano grigi, ma lui no, lui combatteva il comunismo godendosi la vita come ogni persona dovrebbe fare, al mare, in villa. Sono stati anni spensierati e molto divertenti. Ma poi cominciai ad avere la sensazione che anche lui stesse invecchiando e che, forse, la vita se la godesse solo lui. Ero stata con qualcuno? Con tanti, in effetti… D’altra parte, bisogna pur far carriera.
E oggi, che meravigliosa giornata. Sono nuova, ancora, e vergine. C’è chi parla ancora di sinistra o destra… Che tristezza: sono vecchi, finiti. Ora bisogna costruire il futuro, e sono le persone nuove come me che ricostruiranno questo Paese distrutto. Che bel sole.
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sabato 26 maggio 2012

Non aprire quella finestra

«Non aprire le finestre. Per piacere.».
«Ma è tardi, ormai sono le sette e mezza. La sveglia ha suonato già da un quarto d’ora. ».
«Non ho sentito nulla, è ancora buio.».
«E’ buio perché ieri sera hai sigillato le tapparelle. Fuori è già giorno».
«Non c’è nessun giorno là fuori. E’ ancora notte fonda».
Silenzio preoccupato.
«Ma stai bene?».
«Benissimo. Ma ora riprendiamo a dormire, dai, la notte è ancora lunga e ho sonno. Tanto sonno.».
«La notte non è lunga, è finita, è un nuovo giorno. Guarda la sveglia.».
«Buona notte».
«Ma io non ho sonno.».
«Ah, soffri di insonnia? E da quando? Buona notte. Puoi leggere, se vuoi, non mi dai fastidio.».
«Ma io non voglio leggere, è ora di colazione.».
«Uno spuntino di mezzanotte, vuoi dire. Buon appetito. Io no, comunque, non ho fame.».
Silenzio.
«Stai, scherzando, vero?».
«Io? Scherzando? No, assolutamente. E ora lasciami dormire, dai.».
«Stiamo facendo tardi, questa storia è durata fin troppo.».
«Non alzare le tapparelle, per piacere».
«Hai paura della luce? Sei forse diventato un vampiro?».
«No, niente vampiri. Vedi? I canini sono normali. Puoi provare con l’aglio, se non ci credi. Buonanotte».
«Piantala, dai. E’ ora di andare al lavoro, devi parlare con quello del Personale.».
«No, non ancora. Ho appuntamento domani.».
«Ma domani è … adesso».
«Non ancora, è ancora notte.».
«Sei stato convocato, è un colloquio importante…».
«Tanto lo so già cosa mi dirà: mi consegnerà la lettera della cassa integrazione. Domani. Ci penserò domani.».
«Vuoi che chiami il dottore?».
«Perché? Non stai bene? E’ per l’insonnia?».
«Io non soffro di insonnia.».
«Non si direbbe. Hai pure fame.».
«Sto benissimo, io.».
«Mi fa piacere. Ma ora lasciami dormire, per favore.».
«Non fare lo sciocco, ci sono mille cose da fare. Devi anche passare in banca.».
«Non credo che siano aperte di notte, a quest’ora ci sono solo i bancomat.».
«Lo so che non devi prelevare, devi parlare col Direttore, per quelle rate che scadono oggi.».
«Non scadono oggi, scadranno domani.».
«Come preferisci. Ma devi andarci a parlare. Se non le paghiamo rischiamo di perdere la casa.».
«Oh sì, c’è l’ipoteca.».
«Appunto, bisogna vedere se è possibile rinegoziare il mutuo.».
«Sarà difficile.»
«Proprio per questo devi andarci.».
«Non me lo farà rinegoziare, lo so già.».
«Comunque devi provarci, è l’unica cosa che possiamo fare.».
«Sappiamo tutti e due che non servirà. Ma domani ci andrò lo stesso...».
E cadde addormentato. Respiro profondo, quasi un russare.
«Dai, devi arrivare presto al lavoro se vuoi uscire prima per passare in banca. E’ ora di alzarsi. Forza, finiamola con questa commedia. Comincio ad andare in bagno io. Tu ronfa pure per altri dieci minuti, se vuoi.».
Coperte rialzate, passi scalzi sul pavimento. Acqua nel lavandino. E poi un rumore di carta, un frugare nel cestino. Silenzio.
La porta del bagno che si riapre violentemente.
«Ma quante ne hai prese?». Corsa verso il letto. Il respiro sempre più profondo, cupo. Di corsa, ancora, verso il telefono. Tre tasti, tre tasti soli pigiati con affanno «Un’ambulanza! Presto! Un’ambulanza!».

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martedì 1 maggio 2012

Come volevasi dimostrare

«Ne è sicuro, Presidente?».
«Sì, la soluzione per uscire dalla crisi è il teorema di Morganstaller Kreutzmann, con un parametro pari a 2,78».
«2,78?».
«Abbiamo rielaborato i dati ancora oggi pomeriggio, abbiamo impiegato computer particolarmente potenti».
Il Presidente diede tempo ai Ministri seduti attorno al grande tavolo da riunioni di assimilare la notizia e, dopo aver loro rivolto uno sguardo, «Allora siamo d’accordo?».
Ci furono muti cenni di assenso.
«Bene, variamo la manovra».
Premette un pulsante alla sua destra e sugli schermi cominciarono a rincorrersi pagine che annunciavano le variazioni appena apportate: tassi di interesse che diminuivano, pensioni che calavano e si allungavano, salari e tredicesime che dimagrivano.
Il deficit calava, l’Europa approvava. La Borsa saliva dello 0,12%.
Sorrisero.
Dal frigo bar furono estratte due bottiglie di Prosecco, con bicchieri di comune vetro. Brindarono, con sobrietà.
Poi cominciarono ad apparire le ultime notizie d’agenzia. Una pensionata, a causa della testé approvata manovra si era vista ridurre l’assegno e si era buttata sotto il treno della metropolitana mentre quattro fabbriche, sette imprese commerciali, sei cantieri edili e nove agenzie d’assicurazioni chiudevano simultaneamente nella provincia di Ragusa. I lavoratori licenziati cominciarono a bloccare la statale.
Al vedere quelle notizie un grande Ministro lasciò il bicchiere e il Prosecco, riavvitò la stilografica (Montblanc, ovviamente), la infilò nel taschino, ripose le sue carte nella borsa di pelle pregiata, disse «Mi dissocio dalla manovra», si alzò e uscì dal Consiglio.
L’Europa cominciò a nutrire dubbi.
Le Borse cominciarono a nutrire forti dubbi.
Un industriale brianzolo strozzato dai debiti, nel frattempo, fece harakiri con un coltello da macellaio nella piazza centrale della sua cittadina spargendo sangue a fiotti sul selciato. In base ad un corollario del teorema di Morganstaller Kreutzmann la vedova si vide recapitare una tassa sullo smaltimento di rifiuti organici maggiorata del 24,3% a causa degli oneri straordinari sopraggiunti.
Due altri ministri, a questo punto, si dissociarono.
L’Europa criticava.
La Borsa perdeva.
Un depravato, che però era stato anche lui Presidente, dichiarò che ai suoi tempi tutto questo non succedeva.
Sugli schermi scorrevano immagini di manifestazioni.
«Potete alzare l’audio? - chiese il Presidente a coloro che erano vicino allo schermo – non sento bene.».
«Presidente, forse sarebbe il caso di abbassarlo».
Le grida, infatti, provenivano dalla piazza. Ed erano via via più alte e distinte.
Si alzarono, andarono vicino alle finestre. Non si riusciva a capire granché: fumo, confusione, qualche fiamma qua e là.
«Sono quelli dei forconi?».
«A dir la verità vedo pure asce, picconi, mazze ferrate. Anche qualche mattarello, laggiù sulla destra.»
Un inserviente ritirò le bottiglie di Prosecco e se le portò di là, per finirle più tardi in santa pace.
«Sapete – il Presidente parlò dopo un lungo silenzio – comincio a pensare che forse abbiamo commesso qualche errore».
«Lei crede, Presidente?».
«Sono del parere che forse dovevamo considerare un parametro non inferiore a 3,07».
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sabato 31 marzo 2012

Una sobria proposta

Signor Presidente,
in attesa che venga portata a termine l’annunciata spendig review, mi preme sottoporre alla Sua attenzione alcune brevi considerazioni che, mi auguro, possano suggerire una definitiva soluzione al problema delle finanze statali.
Come noto, infatti, il debito pubblico, attestatosi a circa 1.935 miliardi di Euro (all. 1), rappresenta il maggior ostacolo alla crescita del Paese e, tra le sue cause principali, non si può non considerare la spesa pensionistica che (all. 2) ammonta a poco meno di 200 miliardi di Euro all’anno interessando circa 16 milioni di pensionati. Si tratta, purtroppo, di un onere destinato a durare nel tempo, essendo calcolabile una vita media di poco meno di vent’anni per i percettori di pensioni di vecchiaia e ben più lunga per quelli delle pensioni di anzianità. E’, inoltre, in continuo aumento il numero dei disoccupati, ormai più di due milioni (all. 3), uno spreco di risorse che potrebbero essere altrimenti impiegate in attività produttive. Non si può, infine, non fare riferimento alla nostra grave dipendenza dall’estero per ciò che riguarda l’approvvigionamento energetico, soprattutto in questi mesi che vedono il prezzo del petrolio superare stabilmente i 100 dollari al barile. A tal proposito, il trattamento dei Rifiuti Solidi Urbani (RSU), in un mondo che si avvia a sperimentare un costo dell’energia ben più elevato di quello conosciuto dalle precedenti generazioni, rivestirà cruciale importanza. Segnalo alla Sua attenzione come da 555.000 tonnellate di RSU sia possibile ricavare energia equivalente a 75.000 tonnellate di petrolio (all. 4).
Per quanto riguarda inoltre la situazione del mercato delle carni, vorrei rammentare come il numero di capi di grosse dimensioni abbattuti in Italia si attesti tra i 20 e i 25 milioni all’anno circa, comprendendo bovini, bufalini, suini, ovini e caprini, essendo trascurabile il numero di equini e struzzi. (all. 5). Considerando i dati relativi ad alcune realtà locali (all. 6 , pag.8), si può stimare che un addetto possa, in media, lavorare circa 1.000 capi (tra suini e bovini) all’anno.
In conclusione, signor Presidente, considerando un numero di pensionati da smaltire pari a circa 16 milioni e applicando con generosità, per venir incontro alle pressanti richieste di lavoro, i coefficienti sopra ricordati per i mattatoi , si possono creare almeno 20 o 25 mila nuovi posti di lavoro. Il metodo di abbattimento dei pensionati dovrà essere di volta in volta concordato con le Autorità Locali, onde prevenire reazioni di tipo nimby, ma dovrà essere comunque volto ad alleviare ogni tipo di inutile disagio. Data la mole di lavoro, è plausibile che l’intero processo possa richiedere circa un anno per il suo completamento, e, ipotizzando un peso pro capite medio dei pensionati pari a circa 70 Kg e procedendo al loro trattamento come RSU, si arriverebbe ad una produzione di energia elettrica pari a circa 150.000 Tonnellate Equivalenti Petrolio, con risparmio di fonti energetiche altamente inquinanti (oltre 800.000 tonnellate di minori emissioni di CO2). Circostanza, questa, che non potrà che suscitare il plauso delle associazioni ambientaliste. A smaltimento compiuto, lo Stato potrà liberare risorse per poco meno di 200 miliardi di Euro all’anno, una cifra considerevole che potrà garantire un nuovo rilancio dello sviluppo economico e delle opere pubbliche, a partire dall’auspicato TAV Casalpusterlengo Avezzano.
Certo della Sua benevola attenzione, mi è gradita l’occasione per porgerLe i miei più distinti saluti.

Jack Daniel
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mercoledì 22 febbraio 2012

Lasciamoli giocare


La casa, ancora bella, era stata un tempo bellissima. Ora, però, risentiva degli anni, se non dei secoli, e della penuria di restauri e manutenzioni. Qualche traccia di umido, l’intonaco qua e là sbrecciato, graffi su porte e infissi. In cucina, i pensili da tempo non formavano più una linea dritta e dal tavolo, nonostante bruciature e anelli di bicchieri, non era scomparsa la passata bellezza e solidità, nonostante il disordine di fogli e cartelline che lo ingombravano.
«Il problema sono le rate del mutuo».
«Quando scadono?»,
«A marzo».
Dalla stanza accanto, dalla quale, per tutta la durata della discussione, era provenuto un brusio di sottofondo, si levò un urlo di trionfo che li costrinse ad interrompere l’esame dei conti. Trovarono la forza di sorridere «Beati loro, che riescono a divertirsi…». 
«Beati loro, che non si pongono questi problemi».
Sguardi benevoli e comprensivi. 
E poi, scuotendo la testa per non farsi distrarre da pensieri troppo lievi, «Entro marzo bisogna trovare quei soldi, quindi. E dove?».
«Potremmo vendere qualcosa. La macchina, i libri.».
«I libri?» e gli occhi preoccupati e tristi andarono alla libreria carica e affollata grazie a decenni di amorosi acquisti.
«In fondo – le disse prendendole la mano – ormai se ne trovano tanti in rete. Non è più necessario averli di carta».
«Lo so. Ma sono ricordi, i nostri ricordi…».
Un barrito di trionfo si levò dalla vicina stanza. Per scaricare la tensione abbatté il pugno sugli estratti conto appoggiati sul tavolo, scostò fragorosamente la sedia dal tavolo, si alzò facendo volare altri estratti conto che teneva sulle ginocchia e, aperta la porta, «Volete piantarla, ragazzi?!». 
Si levarono deboli e poco convinte proteste che interruppe con voce ancora alterata «Con la mamma stiamo parlando di cose importanti! Cercate di stare buoni, una volta tanto».
Si risedette sospirando, si chinò per prendere le carte atterrate sotto il tavolo. «In fondo dobbiamo solo stringere la cinghia per un paio d’anni. Magari se rinunciamo alle vacanze e tagliamo ancora un po’ le spese ce la possiamo fare, e senza dar via i libri».
«Tagliare le spese? Ancora? Quali?».
La domanda si perse nel silenzio. Un silenzio breve, di lì a poco interrotto da nuova grida dalla stanza vicina. Ancora una volta stava per alzarsi, ma lei lo prevenne, poggiandogli una mano sul braccio.
«Lasciali fare, lasciamoli giocare».
«Ma non si rendono conto di quello che stiamo passando?».
«Forse no, ma è meglio così, lasciamoli sfogare.»
«Lo facciamo, tutti i giorni, con le leggi elettorali, con l’Art18, con le riforme costituzionali. Li assecondiamo, passiamo ore con loro quando vogliono fare i sindacati o i politici. Ma in certi momenti dovrebbero capire.».
«Forse è meglio che non capiscano, forse è meglio che non si rendano conto. Sarà più facile per loro sopportare questi anni.».
«Hai ragione, Elsa. Ma poi ogni giorno si svegliano e chiedono un nuovo emendamento, altri fondi, ulteriori spese mentre noi, invece, siamo qui seduti a chiederci se sia il caso di vendere i libri.».
«Devi aver pazienza, Mario. Sono solo dei ragazzi, lasciamoli giocare.».


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lunedì 30 gennaio 2012

Per chi suona Piazza Tahrir

E’ stata una rivoluzione tradita quella egiziana? Oppure, al contrario, nel corso dell’ultimo anno, da quando, il 25 gennaio del 2011, iniziarono quelle manifestazioni che portarono, l’11 febbraio, alle dimissioni di Mubarak, il paese ha realmente cambiato pagina e si appresta a vivere una nuova stagione? 
Oggi, ad un anno di distanza, Piazza Tahrir si è nuovamente riempita di centinaia di migliaia di manifestanti, forse milioni, ritornati su quest’anello d’asfalto sul lato meridionale di un grande spiazzo chiuso a nord dalla mole neoclassica del museo archeologico al cui fianco sorge il rudere carbonizzato di quella che fu la sede del PND, il Partito Nazionale Democratico di Mubarak. Perché sono tornati? Per celebrare l’anniversario o per trarre nuova forza per riprendere l’opposizione ai militari? I manifestanti erano divisi e, nell’euforia del momento, nei festeggiamenti, è stata messa la sordina alle differenze. Dalla caduta di Mubarak, infatti, da quando il potere è stato preso in mano dai militari costituiti in Consiglio Supremo delle Forze Armate (SCAF), il centro della piazza è stato occupato dalle tende degli indignati egiziani ben collegati, grazie a facebook e twitter (da seguire #tahrir) al resto del mondo. Non hanno smesso, in questi mesi, di denunciare la gattopardesca continuità tra i militari e il regime di Mubarak, del quale hanno preso il posto varando una nuova e provvisoria costituzione nella quale, di fatto, i poteri prima attribuiti al Presidente, finivano in mano dello SCAF. Ci sono stati scontri (ultimi quelli di novembre) e vittime, dimissioni di governi ma il potere supremo, per ora, è rimasto nelle mani dei militari. Rivoluzione tradita, quindi? 
I ragazzi accampati a Piazza Tahrir pensano di sì. Eppure alcune cose sono cambiate, in Egitto, anche se in maniera del tutto inattesa dagli indignati. I militari, quando presero il potere, promisero elezioni legislative entro l’autunno 2011 e presidenziali entro giugno 2012. Le elezioni per il Parlamento si sono tenute (nei prossimi giorni inizieranno quelle per la Camera alta) e hanno visto una buona affluenza di elettori. Ma i risultati sono stati una sorpresa, perché si pensava ad un testa a testa tra i fratelli Musulmani e il blocco dei partiti liberali (i più filo occidentali). E’ successo invece che i Fratelli musulmani hanno guadagnato oltre il 47% dei seggi e il secondo partito, con quasi il 25%, è stato quello salafita, una formazione islamica ancora più radicale. I filo occidentali sono stati sonoramente sconfitti, e i ragazzi di piazza Tahrir , i più radicali tra i liberali, hanno portato in parlamento meno di dieci rappresentanti. 
Tutto ciò ha improvvisamente mutato la Fratellanza, da spauracchio delle cancellerie occidentali, in male minore con la quale si può e deve trattare. E i Fratelli, d’altro canto, sostengono che sì, in effetti la sharia sarà introdotta in Egitto, ma saranno molto tolleranti e hanno accolto con molto entusiasmo l’invito di Sheshouda III, il Papa dei cristiani copti, a presenziare alla Messa di Natale. I salafiti si sono rifiutati. E i copti oltranzisti si sono arrabbiati (per l’invito rivolto dal Papa agli islamici). E poi c’era da tranquillizzare investitori e turisti stranieri che, spaventati dal clamore delle rivolte, hanno fatto crollare del 30% le entrate turistiche in valuta pregiata. 
Per la Fratellanza, che in questi mesi ha disertato piazza Tahrir in attesa di vincere alle urne, questo 25 gennaio 2012 è stato fondamentalmente una celebrazione. Sappiamo quindi che il Parlamento sarà dominato dagli islamisti ma, in un Paese nel quale vige ancora una costituzione che, di fatto , è quella precedente, ritagliata sulla figura di un Presidente autoritario al quale delega un’immensità di funzioni, il potere legislativo conta poco. In attesa di una nuova Costituzione, che sarà elaborata nei prossimi mesi, la vera partita saranno le presidenziali Chi vincerà? 
Oggi l’opinione più diffusa è che la spunterà Amr Moussa, un politico di lungo corso, ex ambasciatore all’ONU, ex ministro sotto Mubarak e attuale presidente della Lega Araba. E’ anziano, è del 1936 (l’età di Berlusconi, peraltro, un’età che in un paese giovane come l’Egitto pare vegliarda e patriarcale) e questa è la migliore garanzia che, almeno, non sarà lui l’iniziatore della 34esima dinastia faraonica. Un presidente di transizione, insomma, per garantire un po’ di stabilità, in attesa di riaprire il vero braccio di ferro, quello tra la Fratellanza e i militari. In questa futura contrapposizione i veri esclusi rischiano di essere proprio loro, i ragazzi di Piazza Tahrir, gli indignati accampati su quel cerchio di terra circondato dall’anello d’asfalto, quelli che per tutto questo tempo hanno creduto di incarnare la vera opposizione allo SCAF chiedendone l’allontanamento. 
Eppure la maggioranza del popolo egiziano non sembra condividere questa necessità, è convinta che tra sei mesi i militari se ne andranno. E allora, perché agitarsi? Perché “rovinare quel bel giardino d’erba che c’era lì in mezzo alla rotonda?”. 

Il compattatore umano 

Lasciata Piazza Tahrir, però, pare proprio che l’urgenza del passaggio dei poteri prima delle elezioni in estate non sia considerata questione di vita o di morte. Non sembra essere la principale preoccupazione di Ahmed (nome di fantasia) che, all’ingresso del mercato di Khan el Khalili, svolge con coscienza la sua professione di compattatore umano. Come i vecchi pigiatori di vino, a piedi nudi dentro un cassonetto di immondizie, Ahmed compatta. Pesta e ripesta, per fare in modo che in quel cassonetto entri un po’ di quella sporcizia che in Egitto è ovunque: nelle scarpate ai lati delle strade, nei canali d’irrigazione sui quali si affacciano abitazioni. E in quei cumuli giocano bambini e aironi e ogni tanto, quando i cumuli raggiungono un volume eccessivo, gli si dà fuoco, e i fumi entrano nelle case e, inshallah, “tanto la vita qui in Egitto non è lunga come da voi”. 
D’altro canto, il sistema fognario è carente (eufemismo) e si va avanti a forza di fosse, e non esiste un solo deposito di rifiuti pericolosi in tutto l’Egitto. A questo si aggiunge l’inquinamento provocato dalle macchine, una nube grigia che staziona sul Cairo, alimentata da catorci vecchi di 50 anni (archeologia, altro che Tutankhamon: arcaiche 1300 e 1500, miriadi di 131 e 132, 127 a gogo; una, in vendita, recava con orgoglio il cartello “Model 1980, call XXXXX”; era quasi nuova). E poi motorette cinesi, cloni di vecchie giapponesi, piccole ed economiche, che si diffondono a macchia d’olio, rimpiazzando i somarelli, sino a qualche anno fa il “mezzo” di locomozione più diffuso. Quanti i PM10, quelli che affliggono le nostre metropoli? E chi lo sa? Ci sono forse stazioni di rilevamento? E allora, perché preoccuparsi? Del resto, con una rete di trasporti carente (altro eufemismo) con l’assicurazione obbligatoria inesistente (“E in caso di incidente”? “Inshallah”) e con la benzina – di pessima qualità – a (circa) 16 centesimi di Euro al litro, l’unico mezzo è riciclare vecchi catorci all’infinito e ingorgare il traffico. 
16 centesimi (al cambio di oggi): se si guarda questa tabella  pur non aggiornata, ci si rende conto che il prezzo della benzina in Egitto è pari a quello di paesi che navigano nel petrolio, come Kuwait e Arabia. Ma l’Egitto naviga nel petrolio? No, purtroppo, ha raggiunto il picco. 

Dopo un picco c’è un baratro 

Il petrolio non finirà dall’oggi al domani, perché i giacimenti non si esauriscono all’improvviso. Piuttosto accadrà che un certo giorno si comincerà a produrre un po’ meno dell’anno precedente, perché magari i giacimenti migliori e scoperti prima si sono esauriti e quelli nuovi sono un po’ meno produttivi. Quando arriverà il picco, cioè l’anno di massima produzione, per il nostro pianeta? C’è chi dice presto, prestissimo: pochissimi anni; altri sostengono che abbiamo ancora una ventina d’anni. 
Quando accadrà per la Terra, quindi, non è sicuro, ma sappiamo che in Egitto il picco è stato raggiunto nel 1993. Da allora producono sempre meno petrolio e, dal 2010, i consumi superano la produzione. E questo perché, da un lato, ne producono meno e, dall’altro, ne consumano di più, a causa dei catorci di cui sopra, delle moto cinesi e del prezzo della benzina allineato al Kuwait. Ma come mai il prezzo della benzina è così basso in Egitto? Semplice, è un prezzo politico: il governo egiziano spende in sussidi alla benzina più di quanto stanzia per il bilancio annuale della pubblica istruzione. 
In queste settimane la Nigeria, che produce petrolio in gran quantità – a differenza dell’Egitto – ha aumentato il prezzo della benzina da (al cambio attuale) circa 30 centesimi a circa 70. E’ scoppiato il finimondo: scioperi generali, proteste, minacce ai distributori di benzina, tensioni. E partivano da un prezzo doppio di quello egiziano. Che succederà in Egitto quando il prossimo governo (chiunque sia il presidente) prenderà in mano la situazione? D’altro canto, con trasporti carenti e nuove città che sorgono come funghi in mezzo al deserto, come ci si sposta? Nuove città, nuovi abitanti: questo porta ad un’altra domanda: quanti sono gli egiziani? 
Nessuno lo sa con certezza, ma dovrebbero essere più di 80 milioni e meno di 90: diciamo 85, non ci sbaglieremo di molto. Erano meno di 30 milioni nel 1960 e crescono al 2% all’anno. Ogni nove mesi circa c’è un milione di egiziani in più. Ma l’Egitto è grande! un milione di Kmq, 3 volte e passa l’Italia. Falso, perché, come tutti sappiamo, gran parte è deserto e la superficie utile è circa il 6/7%. 70.000 Kmq circa: 3 volte la Sicilia. In 3 Sicilie, quindi, ci sta la popolazione della Germania, che aumenta al ritmo di una Palermo ogni quattro mesi. E tutti questi devono spostarsi, consumano rifiuti, mangiano e bevono. Bevono? 
Questo ci porta al problema dei problemi: l’acqua. E ci porta anche ad una delle attuali piaghe d’Egitto, quella della terra tramutata in sale. Da Erodoto in qua sappiamo che l’Egitto è figlio di quel Nilo che tutt’ora fornisce acqua al 90% dei terreni agricoli. Purtroppo, però, irrigare i campi con acqua di fiume in terre aride porta problemi, perché l’acqua che scende dai monti corre lungo rocce dalle quali strappa piccole quantità di sali minerali che poi (come sappiamo) si depositano nelle nostre lavatrici. Donde l’anticalcare. 
I campi irrigati, quindi, decennio dopo decennio, cominciano ad accumulare questi sali che, alla lunga, rendono sterile la terra. Se ne resero conto già i Sumeri, e se la Mesopotamia è incoltivabile è per questo: il sale accumulato migliaia di anni fa rende il terreno inutilizzabile oggi. Nei nostri climi il problema si pone poco perché la pioggia (poco o nulla salata) lava il sale e lo porta in mare dove è di casa. In Egitto, per millenni, si è ottenuto lo stesso effetto grazie alle piene che allagavano i campi e trascinavano via il sale accumulato. Negli anni’60, però, si decise di costruire la diga di Assuan per irreggimentare le piene e, da allora, l’acqua del Nilo scorre sempre dentro un letto prefissato. Parentesi: questo discorso parte dal tacito presupposto che l’acqua del Nilo appartenga all’Egitto. In realtà la questione fu stabilita nel lontanissimo 1959 quando lo sfruttamento del fiume fu diviso col Sudan, con l’Egitto che faceva la parte del leone. Gli altri paesi attraversati dal Nilo furono ignorati anche perché, all’epoca, non avevano ruolo politico. Recentemente 4 paesi bagnati dal Nilo prima che entri in Sudan (Etiopia, Burundi, Tanzania e Uganda) hanno proposto un nuovo trattato che dia anche a loro il diritto di utilizzare l’acqua del fiume, magari costruendo qualche diga. Per tutta risposta l’Egitto ha allertato le proprie Forze Armate e il trattato del 1959 non è ancora stato modificato. 

Qui un tempo era deserto 

Da quando fu costruita la diga, in mancanza di piene, il suolo comincia ad accumulare sali. Quanti? Si parla di un terzo del suolo ormai afflitto dal problema ma, come se non bastasse, il sale arriva anche dal mare. Il Delta, che produce il 65% dei beni agricoli, è poco elevato. Con la fine delle piene il suolo si è ricompattato e con il livello dei mari che tende ad aumentare per il riscaldamento globale, sono sempre più numerose le infiltrazioni sotterranee di acque salate. E quindi? 
Idea: le falde sotto il deserto. Sotto le dune del Sahara, infatti, si nascondono caverne piene d’acqua fossile, residuo di quando, migliaia di anni fa, era verde e ci vivevano gli ippopotami. Allora l’acqua dalla superficie colò in caverne sotterranee, lontane dall’evaporazione e lì è rimasta sino ad ora. E quindi, l’Alexandria desert road, l’autostrada che collega il Cairo ad Alessandria, dall’essere asfalto nel deserto è diventata, negli ultimi 20 anni, una strada che passa tra fattorie e resort alimentati con acqua fossile. Quanti anni o decenni durerà con questo sfruttamento non si sa, ma sappiamo che, una volta esaurite le falde, bisognerà aspettare la prossima glaciazione per ricostituirle. Altro sfruttamento di risorsa non rinnovabile. In conclusione: l’Egitto sino a circa il 1970 era autosufficiente in termini di produzione di beni primari. Oggi, vuoi per la costruzione di nuovi quartieri o città su terre coltivabili, vuoi per la minore fertilità del suolo, vuoi – soprattutto – per l’aumento di bocche da sfamare, importa circa la metà di beni primari. Il pane è fortemente sussidiato, e quando Mubarak, nel 2008, tentò di ridurre gli aiuti e di aumentarne il prezzo, scoppiarono rivolte sanguinose, il preannuncio di quello che è successo nel 2011. 
Pane sussidiato, quindi, benzina sussidiata e, di conseguenza, deficit dello stato e debito in crescita. Un serpente che si morde la coda: se lo Stato destina immani risorse ai sussidi ne avrà meno per le fogne, gli ospedali, le scuole. Film già visto, compreso il finale: iniziati colloqui con il FMI. 
E’ passato un anno dalla rivolta. Ma perché la ribellione contro un regime corrotto e dittatoriale come quello di Mubarak è scoppiata l’anno scorso e non 10 anni fa? Tra le tante ragioni c’è che è ora che i nodi vengono al pettine. E’ ora che l’Egitto comincia ad importare petrolio, è ora che la produzione alimentare non basta più ed è in questi ultimi anni, da quando si è iniziato a parlare di riduzione dei sussidi, che si è cominciato a sospettare che le promesse di benessere futuro non sarebbero state mantenute. Mubarak è stato il padrone dell’Egitto, e la naturale reazione è stata quella di scaricare tutte le colpe contro una persona (che pure, di colpe, ne ha, eccome!) sperando che, una volta rimossa, tutto si sistemi per incanto. Invece i problemi rimarranno: perché chiunque sia il nuovo Presidente, non si troverà nuovo petrolio in quantità e non si risolverà il problema della carenza di pane e acqua. Per non parlare dell’incremento demografico. E questo perché i prossimi governanti, i primi del XXI secolo, si troveranno a gestire la pesante eredità del XX secolo, un’eredità fatta di risorse esaurite e di ambiente sfruttato al di là di ogni compatibilità. 
Solo che, a ben vedere, questi sono i problemi di tutti. Le particolarità dell’Egitto hanno fatto sì che i problemi del XXI secolo (acqua, risorse esaurite, sovrappopolazione, abuso dell’ambiente) siano esplosi lungo il Nilo prima che altrove, ma questi stessi problemi, nei paesi meno fragili ecologicamente, si presenteranno nei prossimi anni. Con quali conseguenze politiche? A Piazza Tahrir, e in tutto il mondo che da un anno punta gli occhi su quell’anello di asfalto, si è discusso di questo? No. Il problema (sacrosanto, peraltro) è stato il passaggio dei poteri. La questione, per noi, è sapere quanto la Fratellanza sarà moderata e quanto potrà convivere con Israele. Ma sono problemi del XX secolo, ancora; di quelli del XXI secolo, come il recente fallimento di Durban dimostra, non siamo ancora in grado di occuparci, né in Egitto né altrove.

Foto di Maria Cristina Di Canio


pubblicato su I Siciliani
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