Aveva
preso il caffè ed in veste da camera rossa fiorata di nero si radeva dinanzi
allo specchietto «E come li chiamano? – si domandava – Pilett? Ginett? Ah no!
Gillette.», e scoteva il capo, scettico di tanta modernità. A lui, allo Zio, i
rasoi piacevano solidi, bel manico di corno, lama affilata di almeno dieci
centimetri, come quello che con allenata perizia gli carezzava delicatamente la
guancia destra e poi, ancora più delicatamente, con maestria e attenzione
superiori, la pericolosa e delicata curva tra collo e mascella. Abbassò la mano,
contemplò il risultato allo specchio, e mentre si confermava che per persone
come lui, provviste di tanta e maschia barba, quel giocattolino, quel Pippett,
proprio non servirebbe, vide riflesso, accanto al suo, il volto ben più
giovanile, nascosto da occhialoni a goccia, di suo nipote Vittorio, quel nipote
la cui vista gli stringeva il cuore perché così somigliante a sua madre, e così
simile a quel desiderato figlio che avrebbe avuto se la Madonna, con la
complicità di sua moglie – sospettava sfidando ogni logica scientifica - , non
gli avesse concesso che tre figlie femmine.
«Vittorio,
cosa hai combinato questa volta?». « Buongiorno, Zio. Cosa ho combinato? Sono
stato in giro. , Amici, incontri, affari importanti. Una notte santa. Non come
certe conoscenze mie che sono state la sera intera in salotto al cospetto della
tivvù.». « E chi erano queste conoscenze, si può sapere?». «Tu, zione, tu. Ti
ho visto con questi occhi ieri a sera passando qui dabbasso mentre mi recavo da
una certa persona.».
Era
davvero troppo insolente. Credeva di poter permettersi tutto. Attraverso le
strette fessure delle palpebre gli occhi azzurro-torbido, gli occhi di sua
madre, i suoi stessi occhi lo fissavano ridenti. «Non guardavo la tivvù, avevo
da controllare i conti delle campagne , le olive, il vino, l’olio.». «Le
campagne, l’olio. Ma zione, non sono più tempi di campagne, questi.». Lo Zio si
sentì offeso. Non fosse somigliato così a sua madre, quel giovinotto avrebbe
avuto di che pentirsi di tanta insolenza; solo l’affetto che provava lo portò a
cambiare discorso «Ma perché sei vestito così? Cosa c'è? Un funerale questa
mattina?». Il nipote era diventato serio: il suo volto triangolare assunse una
inaspettata espressione virile. «Parto, zione, parto fra un'ora. Sono venuto a
dirti addio.» Il povero Zio si sentì stringere il cuore. «Fuggi? Ti cercano?» e
già si vedeva, come in passato, il nipote rinchiuso all’Ucciardone per anni.
«No zione, non fuggo. Vado a Milano». «A Milano? E da chi?». «Uno di su, un
costruttore, è Marcello nostro che ce lo raccomanda». «Ma che ci vai fare lassù
a Milano?». «Affari, zione. Finanza, il bisinéss del futuro: ci fa guadagnare
in un mese quanto le vostre campagne in dieci anni».
Lo
Zio ebbe una delle sue solite visioni improvvise: una scena crudele, il suo Vittorio
milanese, perso nella nebbia, dimentico di casa, a friggere calamari nel burro.
«Sei pazzo, figlio mio. Andare a mettersi con quella gente. Sono tutti
imbroglioni. Un Mangano dev'essere con noi, per la famiglia, in Sicilia.».
Gli occhi ripresero
a sorridere. «Per la famiglia, certo, ma per quale famiglia?» Il ragazzo ebbe
uno di quei suoi accessi di serietà che lo rendevano impenetrabile e caro. «Se
non ci siamo anche noi, quelli scendono coi piccioli, ci comprano la Sicilia e
ci mettono un comunista a Sindaco. Se vogliamo che tutto rimanga come è,
bisogna che tutto cambi. Mi sono spiegato?». Abbracciò lo Zio un po’ commosso. «Arrivederci
a presto. Ritornerò col panettone.».
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