Questo raccontino, pubblicato sui Siciliani, fu scritto più o meno quando cadde il primo Governo del Colui di Arcore.
«Eccolo! Sta per cominciare!».
«Volete abbassare la testa? Io non vedo niente».
«Silenzio!».
«FINO A QUANDO, CATILINA, ABUSERAI DELLA NOSTRA PAZIENZA?».
«Beh, questo sì è un inizio come si deve».
«Puoi dirlo forte».
«Volete far silenzio?».
«Ma io non vedo nulla!».
«Ma non c'è niente da vedere».
«Ma come niente? Cosa succede, cosa succede?».
«Sta parlando Cicerone».
«Shhh!».
«Ma Catilina? Dov'è Catilina?».
«Sta lì, nel quarto ordine».
«E che faccia fa? Che faccia fa?».
«Sorride».
Sorrideva, infatti. E cosa si nascondeva dietro quel sorriso? Ipotesi formulabili:
1) sprezzo del Senato;
2) sprezzo del pericolo;
3) postumi di un'avventura galante;
4) forte paura così dissimulata;
5) altro.
Ma Sallustio, che pure era fazioso, scrive che Catilina almeno una qualità l'aveva, e non da poco: era coraggioso. Opteremmo quindi, salvo obiezione, per una combinazione delle ipotesi 1) e 2). Se poi volessimo credere a Cicerone, persona, peraltro, da prendere con le molle, dovremmo mantenerci sull'ipotesi 3). Semmai, a voler star dietro a Cicerone, dovremmo interrogarci sulla natura dell'avventura galante.
Ipotesi formulabili: avventura con
3.1) vestale vergine (o supposta tale);
3.2) parente stretta sì da configurare fattispecie incestuosa;
3.3) giovine (maschio) desioso di precipitare nella corruzione;
3.4) maschio (non necessariamente giovine) già abbondantemente barbuto e corrotto;
3.5) altro.
Cicerone, come detto, non sempre fa testo. In quest'occasione meno che nelle altre. In età più avanzata (allora ne aveva 43 ed era quasi coetaneo di Catilina) ce lo immaginiamo seduto nella sala principale del circolo della caccia di Formia (dov'era andato a ripararsi in attesa che Ottaviano e Antonio - i giovinastri - capissero cosa fare da grandi) a conversare per giorni interi con magistrati di provincia.
«Console illustrissimo...».
«Amico mio, amico mio».
«Non si capisce più nulla, console».
«Ah!».
«è che manca, non so, il piglio...».
«Gli ideali! mio caro amico. Mancano gli ideali. Non si rispetta più la patria, le Leggi! Nulla!».
Profondi cenni di assenso.
«Ai miei tempi, caro mio, sì che sapevamo far rispettare la Legge e la dignità del Senato».
Altri copiosi profondi cenni di assenso.
«Le ho mai raccontato di quella volta in Senato? (sì che gliel'aveva raccontato, e molte volte pure. Ma si faceva finta di nulla) Quando mi alzai nel freddo glaciale (era pure novembre) e, squadrando Catilina, gli dissi...».
«NON CAPISCI CHE LE TUE TRAME SONO ORMAI NOTE A TUTTI?».
«Io continuo a non vedere nulla».
«Shhh!».
«Ma chi c'è?».
«Tutti! ci sono tutti. Non ho mai visto tanti senatori in una volta sola».
«C'è anche Marco Lepido?».
«Caspita! è lì in prima fila. E ci sono anche Caio Cesare (Julius the Caesar ndr), Quinto Metello, Enrico Cuccia, Giunio Silano, Giovanni Agnelli, Marco Porcio Catone...».
«Che faccia fanno? che faccia fanno?».
«Grave e severa».
«E' giusto, sono senatori».
«Quelli erano uomini, amico mio. Se penso ad un Marco Porcio e lo confronto a questi - sfregandosi i polpastrelli - giovini. Giovini validi, per carità. Hanno combattuto, frequentano le palestre. Ma manca loro, come dire? - ancora lo sfregamento delle dita - quello spessore, quella tempra».
Profondi cenni di assenso.
Indubbiamente la tempra di Cicerone era buona. La sua non era una famiglia di professionisti della politica: era una famiglia campagnola, e lui fu il primo che approdò al Senato. «Oh caspita - si dicevano i senatori - e noi permetteremmo che un neofita diventi console?». Preferivano i politici nati. Ma i senatori alla fine ci stettero, eccome.
Un consolato di tregua. Già, perché si trovarono a scegliere tra mali minori: o Catilina (uno di loro, ma vedi mai?) o un tecnico. Scelsero Cicerone. Il quale (già era borioso di suo) un po' si montò la testa. Come se non bastasse, il Fato volle che, qualche mese dopo, si preparasse la coniuratio Catilinae. Cicerone riuscì a sventarla e da allora perse la misura. Cominciò a paragonarsi a Romolo (quello di Remo), tempestava di missive i suoi amici greci invitandoli a comporre (in greco) una storia che narrasse le sue (di Cicero Ciceronis) gesta. E poi, mano a mano che gli anni passavano, si ritrovò sempre più spesso a dire «Ai miei tempi». Sino a che fu sgozzato dai seguaci di Antonio. E sapete perché? Perché s'era messo in testa di salvare, "come già aveva fatto" la Repubblica. Poveretto: non aveva capito un bel niente. Morto Cesare, con Ottaviano in crescita e Antonio rampante, ancora pensava, magari con qualche potente discorso, di restituire severità al Senato.
In questo caso, come detto, fu sgozzato, ma ai suoi tempi sì che ci riuscì. L'odiato Catilina era lì, una sentina di vizi, una cloaca di turpitudini, un abominio del genere umano. E che si permetteva pure di essere senatore. E di insultarlo dicendogli «Sei un inquilino». Un buzzurro, insomma, un parvenu.
Catilina, chi era veramente costui? Hanno vinto i suoi nemici, e i suoi nemici poi scrissero di lui. Bisogna ristabilire la par condicio.
Senatore Catilina, l'accusano di essere un perverso.
«Respingo fermamente queste dicerie: sono voci messe in giro al solo scopo di danneggiare la mia opera politica».
Già, la sua opera politica. Li vede quei senatoroni là? L'accusano di non rispettare le regole, di fare strame delle Leggi e del Senato.
«La verità è che questo paese è ormai in mano ad una sclerotica oligarchia dedita esclusivamente ai giochi di potere e alle manovre di Palazzo».
Ma la sospettano di voler fare un colpo di Stato.
«Sono loro che espropriano la gente del diritto di voltar pagina».
Sicuro, senatore Catilina? C'è chi vede nella sua azione soltanto una disperata difesa dei suoi interessi personali. E' vero o no che lei è oberato di debiti e che (l'ha detto pure Cicerone) alle prossime Idi sarà dichiarato moroso?
«Ulteriore malevola diceria. Le mie attività e i miei possedimenti sono di comprovata solidità».
Ma allora, come mai tutti i giovani nobilotti e indebitati, amanti del buon vivere e dei divertimenti, sono passati con lei? Si sospetta che, in fondo, siate tutti interessati ad una sola cosa: prendere il potere, liquidare i debiti (e magari pure i creditori) e continuare a gozzovigliare vita natural durante.
«Falso. La verità è che i giovani che mi seguono sono la parte sana del Paese. Gioventù aperta alle novità, che non tollera i lacci e i lacciuoli imposti loro da una classe dirigente vecchia e screditata. Noi siamo il nuovo, la speranza e l'ottimismo del futuro».
Mi scusi, senatore, ma perché dovremmo crederle? In fondo lei è già stato accusato di corruzione e portato dinanzi ai tribunali della Repubblica.
«Si trattava di un episodio circoscritto, amplificato dalla malafede dei miei avversari».
Questo Catilina, nel pieno rispetto della par condicio.
«E TU GIOVE, TIENI LONTANI QUEST'UOMO E I SUOI SGHERRI DAL TUO TEMPIO E DAGLI ALTRI DELL'URBE...».
«Sta finendo, sta finendo».
«E io non ho visto nulla.».
«Catilina è nervoso. Guarda guarda, sta gridando che lui non c'entra nulla. Sta insultando Cicerone».
«Ecco, adesso ha finito sul serio».
«E Catilina? Catilina?».
«Sta uscendo dall'aula. Proclama la sua innocenza».
«E gli altri?».
«Si stanno stringendo attorno a Cicerone».
«Ottimo discorso, Cicerone».
«Ti ringrazio, caro collega».
«Un eccellente richiamo ai principi».
«Il minimo, il minimo che potessi fare».
«Senza retorica, Cicerone, sono certo che oggi la Repubblica sia più salda, e che le sue istituzioni, così rinforzate, dureranno ancora per secoli».
«Ti ringrazio, Caio Cesare».
martedì 24 gennaio 1995
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