sabato 20 novembre 2010

La Politica son io

Eccellentissimi Monsignori, Donna fui, e di nobili natali. Non sien maraviglia le presenti mie condizioni, ché padre mio fu quell’ingegno che tra l’ eccelsi della mortal spezie primo è reputato. Di quell’Aristotile, parlo, che battezzommi e superno mi die’ rango intra l’umane cose.
La Politica son io, e a me volsersi le menti migliori de’secoli andati. Reggitrice e ordinatrice del mondo fui, per cotanti sola ragione di vita e morte: non pochi, in fatto, me invocando e venerando, gl’occhi chiusero alla luce. Duci superbi dispersi, e umili innalzai e fui io che nell’animi oppressi recavo il ristoro della speranza e promettevo un domani migliore a chi l’oggi avea tristo. Scienza divenni, e non sol’Arte, dacché Ser Machiavelli la mia natura al mondo disvelò. Nei saecula e negli anni che seguirono l’idioma mio mutò, sì come cangiò il mondo. Avvenne che sempre più numerosi furono i miei amanti: non soltanto ne’ cerimoniosi e cortigiani appartamenti sedussi e fui invocata, ma, invero, spasimanti miei si ritrovavano, per cantar mie lodi, nei salotti de’ borghesi, nelle taverne e nei caffè. Fui io la musa di quanti eressero le barricate in quel luglio che a Parigi il mondo novellò e altra epoca dischiuse. Popoli intieri, servi delle rapaci cupidigie dei troni e delle dominazioni, s’avvidero allora dell’esistenza mia, e principiarono a corteggiarmi. Per amor mio, e di chi altri?, posate le vanghe e lasciati i telai, uomini resi duri dal lavoro rubavano ore all’agognato riposo per venir meco e sognare l’alba del sol dell’avvenire. Impossibile enumerare le biblioteche a me dedicate, i libri scritti in mio onore e i copiosi amanti appassionati e fedeli che mi onorarono delle loro specialissime attenzioni. Eppur non bastava, ché, più il tempo scorreva e più s’accorciavano le distanze nel mondo, popoli prima ignari l’uno dell’altro cominciarono ad apprendere della mutua esistenza, e soggetti deprivati di diritti e rappresentanza s’accorsero d’essere cittadini. Liberai lontani e immensi continenti dal giogo coloniale e molti impararono grazie a me tante parole sino ad allora ignote e di una in particolare, democrazia, si innamorarono. Non c’era diva che rivaleggiasse con me per ammiratori: ero citata ovunque e da chiunque, occupavo le discussioni quotidiane nelle case, nelle scuole, nei campi e nelle officine. Ancora il mio linguaggio cambiava, mentre masse sterminate si levavano in mio nome, economie intere si fermavano e davo all’uomo e alla donna l’illusione di poter essere arbitri del proprio futuro, contro ogni sopruso e ogni ingiustizia. Nella misura in cui procedeva la coscientizzazione dei soggetti intrinsecamente antagonisti rappresentavo l’antitesi nella dialettica del potere innescando dinamiche di contro-reazione e\o contro-potere che smascheravano le falsità delle sovrastrutture minando la base stessa della struttura dominante. Ero arte, divenni scienza, poi tecnica ma, infine, oggi, mestiere e carriera. Non so, belli miei, perché persi i miei amanti migliori. Ricordo giovani bellissimi con lo sguardo limpido e sincero che per me avrebbero superato qualunque ostacolo, ricordo uomini meravigliosi, intelligenze superiori, a me tutti devoti e fedeli. Mi restate voi, ora, e, vi dico la verità, non siete belli e nemmeno tanto svegli. Non mi amate, lo so, mi usate: vi servo. Perché comunque piaccio sempre, vero? Lo so che nessuno muore più per me, ma per un mio pompino in tanti si fanno sotto. E allora venite, ne ho per tutti voi. E non mi costa nulla, ho imparato a farli senza pensare. O meglio, a pensare a quei giovani innamorati con gli occhi luminosi che ritorneranno, sì, ritorneranno, spero, e non mi lasceranno qui a succhiare per sempre i vostri flaccidi cazzi tirati su a viagra.


Pubblicato su gli Italiani
e sul numero 95 di Ucuntu Leggi tutto