domenica 23 ottobre 1994

Le mirabolanti avventure del Prof. Chisciotta

per voi narrate da Jack Daniel

PROLOGO

Spinto da quell'amore di verità che sempre anima i miei pensieri e le mie azioni, mi son risoluto a scriver e narrar per esteso le mirabolanti gesta del grande professor Chisciotta e del suo fedele bidello Nando Pansa.
O Lenin, se tu avesti Reed come cronista, possa tu, Professor Chisciotta, essere eternato da questi miei scritti, e possa tu, nobile lettore, trar giovamento e divertimento da questi racconti. Che cominciano, com'è doveroso che sia, da quella sera in cui il professor Chisciotta, ascoltando il disco di Jeff Buckley, comprese di essere un grande rivoluzionario.


CAPITOLO I
Ove si narra di come il Professor Chisciotta diede inizio alla sua rivoluzione.

In un quartiere di Roma di cui non ricordo il nome, viveva sino a poco tempo fa un professore con la casa piena di libri, qualche quadro astratto e impolverato alle pareti e una sorella assai triste e zitella. Non era una vita brillante quella che conduceva il professor Chisciotta, ché questo era il suo nome, anzi, a ben vedere poteva apparire modesta, se non grama: pochi o nulli divertimenti, scarse le uscite serali se non nei giorni comandati del compleanno suo o della sorella, tranquille vacanze nel paese meridionale donde, vent'anni prima, giunse alla Capitale carico di quei sogni e di quelle speranze che i tanti autunni successivi avrebbero avvizzito e rinsecchito. Giornate sempre uguali l'una all'altra: la scuola la mattina, il pomeriggio i pacchi di compiti da correggere (insegnava matematica alle medie) e, la sera, disdegnata la televisione, lunghe ore di lettura e di ascolto.
Vari e molteplici erano infatti gli interessi culturali del professore, in specie se connessi ad una qualsivoglia rivoluzione.


Per lunghi anni ne aveva studiate tante e di tutte le epoche. Ovviamente la russa, la cinese e la francese, che costituivano per lui la summa filosofica. Ma non disdegnava incursioni tra i barbudos o gli ironsides, si commuoveva al leggere di Spartaco e fremeva di sdegno nell'udire il nome dei Gracchi. Familiarizzava, inoltre, con Bolivar e Zapata, sarebbe stato in grado di fornire preziosi suggerimenti a George Washington, disquisiva sulle contraddizioni dei Ciompi e apprezzava, seppur con riserva, l'opera di Muntzer. E se di costoro si sentiva ormai intimo, quando, di tanto in tanto, gli capitava di aprire un giornale, scorreva i titoli con cipiglio disgustato e, invariabilmente, lo chiudeva imprecando contro i tempi banali e assai poco favorevoli ai grandi sommovimenti sociali.
Così procedette per molti anni, ma una sera fredda e piovosa, con i quaranta già passati da un pezzo e i cinquanta ormai all'orizzonte, e un ventre prominente cresciuto col tempo da contrappeso agli ideali giovanili sfumati, la sorella, che dormiva davanti al televisione nella stanza accanto, sentì un gran fragore. Superati i primi attimi di sbalordimento dovuti al dormiveglia, la povera donna dovette rassegnarsi all'idea che l'epicentro era proprio situato nello studiolo del professore suo fratello. Da lì, infatti, provenivano i violenti scrosci di scaffali rovesciati, fogli spiegazzati e libri strappati, frammisti ad una musica assai dolce e tenue che s'alzava dal sintoampli Technics del '79. Si trattava, ma lei non poteva saperlo, delle canzoni di Jeff Buckley, il figlio del grande Tim Buckley. Temendo un improvviso malessere, la sorella aprì trafelata la porta, e uno spettacolo inquietante le si presentò agli occhi: non solo la stanza versava nel più disfatto disordine, visione per lei inusitata, ma, qualora tutto ciò non fosse sufficiente, il fratello si aggirava dimenandosi scompostamente tra quei mucchi di carte ripetendo di continuo che in quella fase si rendeva ormai ineluttabile il suo intervento.
«Sono le due passate, non pensi che sia tardi?» domandò ella cercando così di ammansirlo.
«Tardi? - rispose veemente Chisciotta - Tu non sai di cosa parli, sorella mia! La fase suprema è ormai giunta! Le contraddizioni sono mature, come le mele di Newton (autore non disprezzabile, sorella, te lo consiglio). Per trenta lunghi anni ho studiato, ho approfondito, ho sviscerato. Ecco il momento è giunto! E' giunta l'ora di passare dalla teoria (copiosa) alla pratica (qua e là lacunosa, in vero)» e, cortesemente ma fermamente, l'accompagnò alla porta richiudendola poi a chiave. Dopodiché alzò ancora il volume e ritornò ai suoi piani.
Per tutta la notte elaborò tattiche astute che, componendosi in raffinate e ponderose strategie, erano, a suo avviso, destinate a scientifica, e per ciò stesso ineluttabile, realizzazione. E quando giunse l'alba, preparato alla rinfusa uno zaino, il professore uscì di casa, con l'intenzione di scrivere una nuova pagina della storia dell'Umanità, e si diresse verso un palazzone di periferia che ben conosceva.
Or qui il cortese lettore sarà lieto di apprendere che nella scuola ove insegnava era bidello un tal Nando Pansa, uomo di scarsa istruzione e nulla cultura, a cui Chisciotta, di tanto in tanto, concedeva le sue più intime confidenze.
«Vedi caro Nando - gli disse un giorno - sarebbe equo che un bidello potesse diventare, un giorno, sottosegretario...».
«Sottosegretario, dice? E' forse una specie di preside?».
«Di più ancora: quasi un ministro».
«E come può essere, signor mio? Lei vede chi governa oggi? Industriali ricchi, avvocati famosi, possiedono barche, Ferrari, mogli bionde e belle. E io? forse che potrei mai governare con la mia Uno e la mia Teresa (che però è una brava donna)? E taciamo delle barche, la prego, io che solo una volta ho preso il pattino a Fregene. Lei scherza, Professore...».
«Nando Pansa! - annunciò Chisciotta al citofono quella mattina fatale - Vengo ad offrirti un sottosegretariato!».
«A me?».
Tralascio quello che seguì nelle ore successive e che, del resto, è facilmente immaginabile: le resistenze della moglie Teresa, le raccomandazioni perché si torni presto e non si prenda freddo (all'uopo infilò due mutandone di lana nella borsa), le suppliche al professore, l'ammonizione a che «non si facciano sciocchezze», l'eterno invito «a riguardarsi» e a non «ficcarsi nei pasticci». E finalmente, ultimati i preparativi, nel primo pomeriggio, presero posto nella bidellesca Uno. Ma prima che Nando Pansa girasse con decisione la chiavetta dell'accensione «Fermo! - l'arrestò Chisciotta - Dobbiamo esser ben consci del Momento».
«Sono le due e mezza» azzardò Nando Pansa guardando l'orologio.
«Non intendevo questo» mormorò Chisciotta immerso in profonde meditazioni sulla Lunga marcia, il treno di Lenin, il Tea Party e su tutti i Grandi Inizi. E quando si sentì sufficientemente ispirato: «Adelante, Nando! Partiamo!» esclamò.
Ma la Uno non partì e, dopo qualche secondo, «Forse le candele...» si giustificò Nando Pansa.
«Hai messo la benzina? Sarebbe inopportuno che la rivoluzione si fermasse per mancanza di carburante».
«Ma certo! Ora riparte di sicuro» mormorò il bidello scrutando preoccupato il cruscotto.
«Bene! Adelante Nando!».
Ma dopo qualche momento «Temo si sia ingolfata».
«E allora?».
«Forse con una spintarella...».
«Nando, non mi pare di aver mai letto di rivoluzioni iniziate così».
«Ma forse basteranno pochi metri...».
«Pochi metri?».
«Forse».
«E sia».
Orbene, nonostante i ripetuti appelli della Giunta Comunale, è ancora usanza diffusa portare a spasso i propri cani per l'espletamento di ogni sorta di sozzo bisogno sulla pubblica via e, poco prima, era di lì passato un alano arlecchino che, a fianco del
marciapiede s'era sgravato di un bisogno vecchio ormai di due giorni.
«Via!» ruggì il professore iniziando la spinta. Che non durò pochi metri, ma molti, e quando infine la Uno si decise a camminare sua sponte, tanta era la fatica che non solo il professore non poté gridare «Adelante!» come s'era prefisso ma, anzi, perdendo la presa, scivolò rovinosamente a terra, proprio là dove era passato l'alano.


CAPITOLO II
Ove si narra di come il Professor Chisciotta conquistò masse ingenti e tifose alla Causa Rivoluzionaria
«Sono mortificato» si scusò dopo molti minuti di penoso silenzio Nando Pansa.
«Non ci badare, compagno, la rivoluzione non è un pranzo di gala» rispose altero il professore con la voce resa nasale dal disperato tentativo di non respirare col naso.
Nel frattempo, girando senza meta, erano arrivati nei pressi dello stadio, e mancava poco all'inizio della partita.
«Fermati!» comandò imperioso Chisciotta. Nando Pansa accostò di lato e con agile balzo il professore uscì dalla macchina, si portò una mano alla fronte e scrutò lontano, verso la folla dei tifosi.
«Masse! - esclamò poi - Masse che attendono una linea. Andiamo, Nando!».
E, riavviata che fu la fedele Uno «L'avresti mai creduto, caro Nando? - rifletté lusingato il professore mentre si recavano nei pressi dell'entrata dello stadio - Non son passsate nemmeno due ore da quando decidemmo di darci alla rivoluzione che, ecco, masse ingenti e numerose già si sono riunite in nostra attesa».
«Professore illustrissimo, non vorrei contraddirla - ribatté Nando Pansa timidamente - ma pare a me che tutte quelle persone siano là per attendere l'inizio della partita, e non tanto quello del suo discorso».
Il professor Chisciotta proruppe allora in un lungo sospiro carico di commiserazione e comprensione.
«Caro Nando, vedo bene che molte son le cose che dovrai apprendere nei prossimi mesi prima che tu possa districarti con sufficiente sicurezza e padronanza all'interno dei movimenti dialettici. Ebbene, caro Nando, sappi che il Sistema tende a distorcere a suo esclusivo vantaggio ogni informazione o notizia e, come se non bastasse, opera sulle coscienze di molti (mi duole, ma parrebbe anche della tua) un sistematico condizionamento culturale e financo psicologico che porta ad una grave distorsione della realtà. Orbene tu vedi là solo folla in attesa di entrare allo stadio quando, a chiunque non avesse subito quei condizionamenti di cui sei stato vittima (dovrò parlarti di Vance Packard, un giorno, rammentamelo), apparirebbe lampante come altro non sia che il principio di un impetuoso movimento ribelle che attende solo una guida illuminata (la mia, per esempio) per diventare un processo rivoluzionario che farà parlare di sé le generazioni future. E se poi questi miei discorsi ti paiono astrusi, ti basti guardare a quello sterminato tappeto di drappi e bandiere rosse per convincerti del tuo errore».
«Ahimè, signor mio! Quelle sono bandiere giallorosse, e non rosse e basta. E ciò perché, come dicevo poc'anzi, oggi gioca la Roma (sebbene non ricordi contro chi)».
«Mi pare doveroso e consequente che siano giallorosse, caro Nando. Con quale altro colore vorresti rappresentare la falce ed il martello sulle bandiere rosse? Orsù, Nando, accosta, siamo arrivati».
E nel dir ciò il professore accarezzò affettuosamente la pila di libri che troneggiava sul sedile posteriore. Grandi classici di ogni rivoluzione, tomi impegnativi e sudati dai quali sperava di espungere la citazione appropriata, ma tra i quali, però, faceva anche capolino qualche buona cassetta musicale. Tra esse notavasi in particolare quella dell'ultimo lavoro di Paul Roland: un personaggio importante, in quanto si tratta di uno dei migliori cantautori oggi viventi.
La Uno si fermò nei pressi del marciapiede, proprio all'entrata del Foro Italico. Dal Lungotevere e dal ponte s'avvicinavano intanto decine di macchine cariche di tifosi che sventolavano bandiere, suonavano trombe e intonavano cori a perdifiato.
«Lodo tutto ciò - commentava compiaciuto Chisciotta - Lodo quest'ardore rivoluzionario. In fede mia, il movimento è sì pregno d'entusiasmo che basteranno pochi concetti ben esposti per muovere alla conquista di qualche Palazzo. Peraltro siamo in ottobre, mese notoriamente proprizio alle rivoluzioni».
Parendodogli quindi opportuno tenere il suo primo comizio in un posto elevato, il professor Chisciotta, a costo di lunghe fatiche, riuscì a salire sul tetto della Uno, tra le mille raccomandazioni di Nando Pansa che temeva ammaccature.
«Ecco - gli diceva - Venga qui sul bordo, Professore, la prego. E no, per amor di Dio, non strisci quel tacco: potrebbe lasciare i segni».
Finalmente, pur rimpiangendo la mancanza di un vagone, il professore si trovò ad ammirare dall'alto la folla. «Compagni!» esordì con voce calda e stentorea.
Ma dopo svariati minuti di indifferenza, il professore cominciò a reputare più produttivo un contatto diretto con le masse. E quindi, ridisceso a terra, si parò, braccia levate, ad interrompere la marcia di un plotone di alcune dozzine di ultrà che marciavano compatti.
«Compagni!».
«Desidera?».
«La rivoluzione è di là» e la mano del professore indicò la direzione del Centro e dei Palazzi.
«Ci scusi, non capiamo: la partita è lì» ribatterono gli ultrà indicando proprio la direzione alle spalle del Professore.
«Vi ingannate! Sono sicuro di aver letto ovunque che le rivoluzioni si fanno muovendo dalla periferia verso il Centro, e non viceversa. Fate rapida autocritica e voltatevi, vi prego!».
«Ma, nobil Signore, il fermo proposito che ci spinse a venir qui ad assistere alla partita è proprio quello che, dalla periferia opposta ci ha condotto sin qui proprio attraverso il Centro».
«Ma cosa dite? Il Sistema vi inganna! Non perdete così il vostro tempo. Voltatevi, e ponete mente alla dialettica».
«Perdere il nostro tempo? Pare a noi che oggi si disputi una partita che vede impegnata la Roma».
«Ho compreso benissimo, e proprio per questo affermo che è da sciocchi sprecare il tempo con attività così insignificanti culturalmente e peregrine. Orsù, voltatevi e marciamo verso il Centro!».
Ma le sue ultime parole produssero un brusio diffuso e sospettoso. «Hai sentito? Ha detto che la Roma è insignificante! E cioè? Cioè che non vale niente! Mio Dio come potremo lavare quest'onta? Non solo, l' ho sentito affermare che è una squadra di pellegrini! Ma chi? La Roma? - e, a lungo trattenuto, un atroce sospetto finalmente venne alla luce - E se fosse un laziale?».
Di lì a pochissimo una turba agitata mosse all'assalto di Chisciotta e Nando Pansa. Dopo averli agevolmente scaraventati a terra con pochi colpi ben diretti, non paghi di aver visto cadere sul selciato un incisivo e un molare, moderatamente soddisfatti nel constatare gli squarci sui vestiti e le ciocche di capelli sparse qua e là e i primi rigagnoli di sangue che cominciavano a sgorgar copiosi, quattro o cinque di quei signori iniziarono a passeggiare a lor talento e piacimento sulle costole scricchiolanti dei due non trascurando, alla bisogna, di assestare qualche colpo in direzione del setto nasale o dei luoghi ad esso adiacenti. Nel frattempo, un'altra congrua delegazione si dedicava alla Uno e, dopo averne saggiato con l'ausilio di mazze, tacchi e cinghie la carrozzeria, stabiliva di principiare una gara che aveva come premio una birra, e come oggetto il bozzo più ampio che si potesse produrre con un calcio ben assestato sulla fiancata.
E durarono così per eterni minuti sino a quando, irritati da tanta resistenza passiva, non ripresero i cori e l'avvicinamento allo stadio. E dopo molti minuti ancora, a piazzale ormai deserto e partita iniziata tra boati lontani, Nando Pansa e il professore poterono finalmente alzarsi e, saliti su ciò che restava della Uno, si diressero verso un luogo lontano e appartato.

Dopo lungo tragitto giunsero in un campo poco fuori città, sulla Cassia. Lì lasciarono la vettura e si sdraiarono, spossati, su un prato. Nando Pansa con le mani tra i capelli osservava e compiangeva la sua Uno mentre il professore, alla ricerca di un'eventuale contraddizione, si stese sull'erba al suono dell'ultimo disco di Paul Roland.
Fu Nando, dopo qualche mezz'ora, a risvegliarlo dai suoi profondi pensieri.
«Professore - l'implorò - La prego, ritorniamo a casa. Pazienza per quel sottosegretariato ch'ella diceva. Mi terrò le mie ramazze di bidello e la mia Teresa ma, la prego, rientriamo».
Il professore allora si levò in piedi (a fatica) e, poggiando la destra sulla spalla di Nando Pansa «Animo Nando. Capita a volte di far un passo avanti e due indietro. Ma non dubitare, da domani si entrerà in una nuova fase del conflitto».
«Lo capisco bene, professore, per quanto a me sembra che indietro si sia andati di cento pedate e non di due passi, ma dove dormiremo, in attesa di questa fase?».
«Non sia questo il tuo problema: un rivoluzionario trova sempre chi l'ospita - e dirigendosi verso il rottame della Uno - Seguimi e vedrai!».


CAPITOLO III
Ove si ricorda di come le Amicizie Rivoluzionarie sian da considerare più durature del bronzo.

«Sai Nando? - meditò ad alta voce il professore dopo che furono risaliti sulla provata Uno - Nell'ultima ora, mentre tu lamentavi accorato i danni subiti dalla tua autovettura (mostrando in ciò, e me ne dolgo, sentimenti piccolo borghesi e animo incline al feticismo) ho avuto una brillante intuizione circa le nostre mosse future».
«Forse, signor mio, ella ha pensato che sia il caso di ritornare a casa e rimandare tutte queste rivoluzioni?»
«Tutt'altro, caro Nando. Vedi, mentre poco fa analizzavo i fatti di quest' oggi (e più ci penso più mi convinco come tutto fosse un abile mossa del Sistema per confondere la nostra dialettica) mi sovvenne che qui nei pressi abita un fraterno compagno dedi
to alla causa. Sono certo ch'egli ci ospiterà per questa e per tutte le notti che verranno, in attesa di delineare una più compiuta strategia».
«Sarebbe una buona notizia, illustrissimo, ma ha egli una casa sufficientemente ampia?».
«Amplissima e pregiata. - rispose il professore col volto oscurato - Questo è il suo cruccio mortale».
«Mi perdoni, illustrissimo, ma non colgo la ragione».
«Caro Nando, tu non sai - sospirò Chisciotta - cosa vuol dire nascere alto borghesi».
«In effetti no».
«Tu non puoi comprendere il cruccio di chi, sentendosi vicino al proletariato, è costretto a vivere in una villa patrizia con servitù e piscina».
«E' una disgrazia così grave, signor mio?».
«E tu puoi solo intuire cosa può significare, per un animo sensibile alla causa dell'emancipazione femminile, ritrovarsi suo malgrado affascinante nell'aspetto e corteggiato da miriadi di ragazze tanto avvenenti quanto povere di cultura e autocoscienza».
«Sovvenendomi or ora della mia Teresa mi è in realtà molto difficile comprendere tutto ciò».
«Fortunato te, caro Nando, non sai quanto pesino tutte queste sovrastrutture. Ricordo ancora di quando Ferdinando (così si chiama) si confidava affranto con me e di quando malediceva il destino che l'aveva fatto nascere in questa condizione. Interi pomeriggi e serate, caro Nando, ad ascoltare i nostri dischi e a commiserare la sua triste sorte. A proposito! - esclamò il professore battendosi la palma sulla fronte - Ricordo bene che stimava molto i Pink Floyd del loro periodo psichedelico. - Frugò tra le cassette e, con aria soddisfatta ne cavò una - Ecco qui: sono certo che gli farà piacere ascoltare questo nuovo disco dei Dead Flowers. Sono certo che incontrerà i suoi gusti».
La sorella del Professore, donna virtuosa quant'altre mai e suo malgrado casta e pura, sedeva composta sul divano, mani intrecciate sul grembo volto dedicato a seria preoccupazione, e udiva il Preside che congetturava tra sé e sé «E' una faccenda grave, veramente».
«Signor Preside - gemette la sorella - Ella teme che mio fratello sia in pericolo?».
«Gravissimo pericolo, gentile Signorina. Per qualche giorno potrei certo giustificare una sua assenza. Ma cosa dire al Provveditorato se essa si prolunga? ».
Il Preside passeggiava scuotendo la testa. «E' grave, veramente grave! Ma come è potuta mai venirgli in animo un'idea tanto bislacca? Conduceva forse una seconda vita?».
«Ma no...». «
Forse attività ignote?».
«Mai più: arrivava a casa e si chiudeva nel suo studiolo a leggere...». «Mi conduca ordunque nel suo studiolo... Un indizio, un segno... Ah, che stranezza!».
La sorella si alzò allor compunta e l'accompagnò nella stanzetta del fratello colma di libri sino al soffitto.
«E' tutto chiaro! - esclamò il Preside appena entrato - Non mi si dica altro!».
«Ha notato qualcosa?» domandò candida e speranzosa la sorella.
«Guardi qui, guardi - e il Preside sventolava un tascabile - Engels, l'Origine della famiglia!».
«V'è forse qualcosa di poco opportuno?» trasecolò timidamente la sorella.
«Qualcosa? Giusto Cielo: tutto. Lo credo che mai il Professore si sposò! E qui? Cosa vedo? Il Manifesto del Partito Comunista? Del medesimo Engels e di quel Marx che infiniti addusse lutti? Non immaginavo, non credevo... Lenin! Lo Stato e Rivoluzione, quel libello che precipitò Nazioni intere in regimi liberticidi!».
«Ve ne son tanti di libri così in questa stanza».
«Noto, noto» osservò il Preside accigliato.
«Che fare?» implorò la sorella.
«Non mi dica che c'è pure quello!».
«Senz'altro, però io chiedevo di mio fratello».
«E' grave - ritornò a meditare il Preside - Molto grave. Bisogna far sparire questi libri».
«Ma cosa dirà se ritornerà?».
«Inventi una scusa. Dica che li ha bruciati. Anzi, meglio: dica che è passata di qui la polizia e li ha sequestrati tutti. Ha una cantina? - e, ricevuto l'assenso - Orsù, mettiamoci al lavoro» e, rimboccatosi le maniche, cominciò ad impilare i primi libri.
«Con tutto il rispetto, signor professore - iniziò Nando Pansa dopo lungo ascolto del disco dei Dead Flowers - ma se devo essere sincero, oserei dire che questo disco non mi pare del tutto nuovo».
«Eppure lo è, è uscito gli è solo qualche settimana».
«Non dubito questo, ma sembra a me d'aver già ascoltato musiche del genere».
«In vero non hai torto. Vedi, caro Nando, la psichedelia è una corrente musicale che ha ormai svariati decenni di storia, e non dubito che possa suscitare qualche déja vu».
«Mi pareva, infatti. Ma, mi dica, non sarebbe meglio ascoltare cose nuove?».
Il professore assentì con aria assorta. «Talora sì, mio caro. Ma non t'ingannare: non sempre ciò che è buono è migliore».
«Sarà senz'altro, ma forse è meno noioso».
«Vedi caro Nando, il nostro compito non è quello di dimenticare il passato, ma di esserne il culmine. Invero, vorrei che tu meditassi sul fatto che noi siamo gli ultimi eredi del grande pensiero classico nonché della scuola filosofica tedesca».
«Noi chi, di grazia?».
«Noi rivoluzionari del proletariato. Al momento io e te».
«Io son veramente contento ch'ella abbia ereditato tanto, ma per quanto mi riguarda, ella si sbaglia: i miei poveri genitori non mi lasciaron nulla (tantomeno una scuola intera) tantoché io son solo bidello nella Giacomo Leopardi che, peraltro, è una scuola italianissima».
«Nando, ciò mi conferma nel sospetto che tu ancora non sia padrone della dialettica e ciò mi sprona a predisporti, nei (pochi) momenti liberi che avrò a disposizione, un programma di studi che ti possa mettere nella condizione, in capo a non più di tre mesi, di leggere e meditare i Grundrisse in tedesco. Ma per il momento l'uergenza preme: ecco là l'ingresso della villa di cui ti parlavo poc'anzi. Ecco, entra in quel cancello, e ti raccomando la discrezione: come ben puoi immaginare Fernando è in grave conflitto, a causa delle sue scelte rivoluzionarie, nei confronti della famiglia e, segnatamente, del padre».
Entrarono quindi nel viale d'accesso di una villa che ben si sarebbe potuto confondere per castello, e dopo lungo percorso sotto la chioma di alberi d'alto fusto e secolari, attraversato per metà il parco, giunsero nel piazzale sul quale si apriva il portone principale. Parcheggiata la macchina il professore scese e subito fu accolto da un zelante servitore che, al sol vedere quel triste esemplare della specie automobilistica s'era precipitato giù per lo scalone.
«Desiderano?» s'informò il maggiordomo.
«Ecco - spiegò cortese il professore - Desidererei salutare il figlio del Conte. Mi può anche annunciare, se crede: son Chisciotta».
«Non credo che il Signorino possa esaudire la sua richiesta».
«Avrei il sospetto di sì e per ciò mi trovo nella spiacevole condizione d'insistere perché sia debitamente avvisato».
«A dire il vero, signor mio illustrissimo, parrebbe a me d'esser io quello costretto ad insistere perché facciano cortese retromarcia e, eventualmente, lasciare un biglietto da visita recante i loro saluti. Non posso però esimermi dall'ipotizzare che meglio ancora sarebbe spedire una cartolina da un luogo assai distante».
«Pur manifestando interdetto stupore per le sue parole, mi trovo invece a ritenere che il signorino sarebbe oltremodo addolorato di venir a conoscenza di questo suo atteggiamento che (invero) ben s'addice ad un lacché del Capitale».
«Gaspare - gridò una voce giovanile dall'interno - Chi è?».
«E' lui: riconosco la voce» esultò Chisciotta.
In quel mentre uscì dal palazzo un ragazzetto ben vestito che ostentava i suoi riccioli biondi quasi fossero il Santissimo Sacramento.
«Cosa c'è Gaspare?» domandò ancora.
«Il signorino Alberto Ardovini» lo presentò il maggiardomo.
«Tu? Ma forse c'è un errore. Io cercavo di Fernando!».
«Il Signor Conte, allora» quasi s'inchinò deferente il maggiordomo al pronunciarne il nome. «Conte? Lui Conte? Ma m'aveva garantito che avrebbe venduto e dato tutto per la causa!».
«Non sono a corrente degli ultimi investimenti del Signor Conte».
«Ma dov'è ora? Vorrei parlargli, capire...».
«Eccolo: sta recandosi all'aeroporto per un viaggio d'affari» gli rispose il Signorino indicando una Jaguar che procedeva a passo sostenuto lungo il vialetto.
Al vederla, il Professore si lanciò in un assai poco agile inseguimento.
«Fernando! - gridava - Sono io! Chisciotta! Ti ho portato la cassetta dei Dead Flowers!» ma la Jaguar, imboccato il cancello, si perse nella notte.

L'eco del motore della Jaguar s'era appena spenta in lontananza e il Professore, scrollando deluso il capo, si riavvicinava a Nando e alla sua precaria Uno.
«Caro Nando - enunciò - credo che, con tutta evidenza, ci troviamo davanti ad un caso di revisionismo, e nutro il fondato sospetto che possa persino configurarsi quale rinnegamento».
«Cosa vuol dire, professore, che stanotte non ci fermiamo a dormire qui?».
«Nutrirei pochi o affatto dubbi su ciò, caro Nando. In vero non mi pare che siamo giunti nella fase nella quale risulta tatticamente utile scendere a compromessi».
«Mi scusi, professore, ma lei pensa che quella fase tarderà ancora molto?».
«Non si può mai dire, ma dopo questa sera mi rafforzo nell'ipotesi che i tempi vadano allungandosi. Orsù Nando, andiamo».
A malincuore il bidello mise in moto la sua ansimante Uno e dopo molti scopiettii e singulti, finalmente uscirono dal cancello e imboccarono, senza meta, una strada che correva per la campagna.
«Sono molto addolorato per il mio amico Fernando» disse di lì a qualche minuto di profonda riflessione il professore.
«Addolorato, professore? E perché mai? Mi pare che quel suo amico, con quella villa, e quella macchina (per non parlare della moglie che scorsi dalle finestre) abbia ben poco di cui debba essere dispiaciuto».
«Gli manca la tensione ideale della rivoluzione, caro Nando».
«Mi pare però che il Signor Conte se ne sia consolato a usura».
«Pare a te Nando, pare a te. Ma sappi che nulla può ripagare la lettura di un buon libro o l'ascolto di un buon disco».
«Ella allude a quel disco psicolabile che ascoltammo poc'anzi?».
«Psichedelico, Nando, psichedelico. Non solo a quello, in verità. Proprio pochi minuti fa, ripensando agli anni rivoluzionari di Fernando, mi sovvenni che, oltre ai dischi dei Pink Floyd, egli amava molto quelli della scuola di Canterbury. Ebbene, erede ed epigono di quel movimento è questo gruppo, i 5uu', del quale ho qui una cassetta. Sono certo che, se non fosse passato alla controrivoluzione, Fernando l'avrebbe apprezzato oltremodo. Ahilui, perde molto».
«Mi rincresce per il signor Fernando - si commosse allora Nando - ma, mi dica, non c'è modo di aiutarlo?».
«Sarà arduo, caro Nando, molto arduo».
«Ma forse s'ella gli spedisse la cassetta?».
«Non mi riferisco solo a quello, purtroppo. Gli è che nella necessaria e giusta furia rivoluzionaria, sarà ben duro sottrarre lui e la sua famiglia ai rischi della fucilazione».
«Oh Giusto Cielo, ma allora bisogna avvisarlo!».
«E' un grave conflitto di coscienza quello che tu mi proponi. Avvisarlo? E tradire così la Causa? No, ci sarà ben un'altra soluzione. Magari potrei usare la mia influenza per convincere i tribunali rivoluzionari a commutare la pena in esilio e confisca. Ah, quanti e quali gravi dilemmi per un solo pomeriggio rivoluzionario!».
«Illustrissimo Professore, lungi da me la tentazione di distrarla da siffatte congetture, ma ha ella un'idea di dove passeremo la notte?».
«Nando, perdonami, sono così preso che non posso curarmi di ciò. Accosta, entra in una strada secondaria... Tanto non riuscirei a prender sonno: troppe sono le questioni».


CAPITOLO IV
Ove si narra di come il valoroso Professor Chisciotta e il fido bidello Nando Pansa riuscirono a sventare gli astuti piani della controrivoluzione.
Dopo qualche centinaio di metri imboccarono una stradina bianca e non asfaltata che si perdeva nei campi. Al termine di penosi sforzi delle sospensioni, peraltro malridotte, giunsero infine in uno spiazzale e lì, poco prima di una curva, s'arrestarono. Nando si ricordò di due provvidenziali plaid, residui di un picnic estivo, che pazientavano nel bagagliaio e, tesone uno sulle gambe e abbassato lo schienale, si diede a fiutar con aria desiosa un sacchetto contenente alcuni provvidenziali panini preparatidalla sua Teresa. Il professore, tra un pensiero e l'altro, non disdegnava di por mano anche lui alle vivande, seppur con l'aria spiritualmente assente (sebbene corporalmente assai presente) di chi si trovi costretto non a soddisfare un piacere, bensì ad assolvere un dovere, non omettendo di ripetere di tanto in tanto «Sarà dura, durissima».
Ma sul finire dell'ultimo panino il professore, tendendo l'orecchio, si ridestò di soprassalto.
«Silenzio Nando! Ascolta!».
Interrompendo a metà la masticazione, Nando aprì il finestrino: «Sembra un motore» sentenziò a bocca piena.
«Cingoli!» dedusse esperto il professore.
«Cingoli?» deglutì Nando.
«Cingoli di carri armati. Evidentemente la notizia s'è sparsa e il Sistema corre ai ripari mandando truppe corazzate a presidiare la città. Orsù Nando, levati, compiamo il nostro dovere!».
«E quale sarebbe, di grazia?».
«Hai una bottiglia vuota?».
«Vuota no, è ancora mezza piena di vino».
«Svuotala, allora».
«Ma è un peccato!».
«Nando, non frapporre indugi enologici alla Causa Rivoluzionaria».
Il bidello prese allora la bottiglia e, piangendogli il cuore di sprecarla così, ne bevve il contenuto a gran sorsate intercalando, di tanto in tanto, qualche frettoloso «volete favorire?» rivolto al professore il quale, però, già contemplando tattiche eipotizzando strategie, aveva ben altro a cui pensare.
Aveva infatti maturato, in quegli anni, una profonda conoscenza teorica sul come costruire bottiglie molotov ma, difettandogli la pratica, si stava chiedendo come avrebbe fatto a cavar fuori dal serbatoio della macchina un litro di benzina. Le sue riflessioni, oltretutto, erano disturbate dallo sferragliamento sempre più prossimo dei cingoli. Quando finalmente trovò il modo d'esporre il problema, seppure in modo concitato, Nando si ricordò d'un tubicino che, ad ogni evenienza, stazionava nel bagagliaio e, tra un «e potevi dirmelo prima che ce l'avevi» e l'altro, s'accinse ad aspirare.
Riempirono la bottiglia e, strappato un lembo della camicia (di Nando), il professore s'adoperò a preparare uno stoppino. E al controrivoluzione s'avvicinava!
Quei cingoli, in realtà, appartenevano ad una scavatrice piuttosto che ad un Leopard, ed erano diretti da un tal Giuseppe, un artigiano della zona, che, in tutta segretezza e in grande abusivismo, aveva ben pensato di costruirsi, nelle ore serali e domenicali, una villetta in quei paraggi. Quel giorno, dopo aver ricevuto in prestito la scavatrice da un suo lontano parente, s'era finalmente deciso ad allargare le fondamenta dell'erigenda villetta in anticipo sui rigori invernali. E tornava, ignaro, verso la sua attuale dimora, una misera casetta in affitto e poco distante.
Quando finalmente i cingoli svoltarono la curva, il professore, che s'era appartato in luogo alto e strategicamente dominante, si provò a scagliar l'ordigno. Ma, come sovente accade quando la teoria è tanta e la prassi scarsa, la bomba, anziché cadere sul davanti del mezzo, com'era preventivato, e bloccar così la supposta colonna, cadde sul suo retro e appiccò il fuoco al traino, un carrettino zeppo di vecchi legni che non aspettavano altro per infiammarsi rigogliosi.
«Professore, quella era una scavatrice» mormorò affranto Nando Pansa quando la luce permise un maggior discernimento della situazione.
«Non t'ingannare, Nando. Sovente le Forze della Repressione amano mascherarsi per parere irriconoscibili e condurre più abili provocazioni».
«Sarà, signor mio, ma quello a me pare proprio un contadino».
«Nulla di più verosimile che si tratti di un agente prezzolato dal Capitale».
«Non dubito, ma pare a me irritato alquanto».
E in effetti Giuseppe dapprima aveva temuto chissà quale intervento dei Carabinieri e la consapevolezza d'esser in fallo innanzi alla legge lo rese, per qualche attimo, ritroso. Ma poi, vedendo due individui vestiti civilmente che lo spiavano dall'alto della collinetta, ebbe il sentore che il tutto dovesse trattarsi di un'innovativa versione del gioco di tirar giù sassi dal cavalcavia. E quindi, mentre gli assi del traino s'infiammavano, loro malgrado, di fuoco rivoluzionaro, lui passò senz'altro allo sdegno e cominciò una serrata rincorsa.
Frattanto il professore e il bidello si dirigevano celermente verso la macchina «Vedi Nando (apf, apf) talora bisogna (apf) - ansimava il professore - cogliere (apf) l'occasione (apf) di una prudente (apf) e strategica ritirata. (apf) Almeno, questo dice Von (apf) Clausewitz (apf) e Lenin non lo (apf) smentisce (apf)».


CAPITOLO V
Ove è lieto il narrare di come i Nostri Eroi sfuggirono alle trame della Controrivoluzione.
Raggiunsero trafelati ed ansimanti la vecchia e bidellesca Uno e, con singolare sintesi tra teoria e prassi, si slanciarono al suo interno e partirono di gran carriera, sempre nell'ambito delle limitate e precarie possibilità offerte dalla macchina. Dopo qualche centinaio di metri, ormai svanito all'orizzonte ogni pericolo, ripreso il fiato, Nando Pansa ruppe finalmente il silenzio: «In fede, signor mio, quel contadino era veramente assai irritato».
«Caro Nando - sospirò il professore - ancora ti inganni: chiunque comprenderebbe che non si trattava di un contadino, bensì di un contraffatto agente della Reazione avente come compito quello di spegnere sul nascere i fermenti rivoluzionari di cui noi siamo suscitatori».
«Sarà come dice lei, signor mio. Io mi son solo fermato alla terza media e se lei dice che si trattava di un vigile della creazione ci credo senz'altro. Ma, appunto perché lei ha studiato e sa sempre spiegare in maniera così intelligente da risultare incomprensibili cose che a me sembrerebbero altrimenti ovvie, potrebbe usarmi la cortesia di indicarmi dove passeremo la notte?».
«Caro Nando, prove inoppugnabili mi fanno ritenere che la nostra fama sia ormai estesa in tutta la Nazione e che ogni casa popolare sarà certamente felice di accoglierci. A tal proposito: proprio laggiù vedo delle luci accese».
Si trattava infatti di una modesta casetta che sorgeva sul ciglio della strada, priva di intonaco e immersa in orti la cui floridezza era inversamente proporzionale alla cura profusa. Parcheggiarono sul piazzale di ghiaia che si apriva innanzi alla porta di ingresso e il Professore, con piglio sicuro, si avvicinò al campanello.
Di lì a poco aprì una signora che, al vedere facce estranee, si ritrasse istintivamente.
«Non abbia paura, signora: in realtà noi siamo portatori di una prospettiva rivoluzionaria per questo Paese».la tranquillizzò il professore.
«Veramente mio marito non c'è» replicò la padrona di casa ma il professore, ignorando l'obiezione, s'introdusse affabile in casa.
«Vedi Nando - illustrava con dovizia di gesti indicativi ed esplicativi - questa sì che è una casa del popolo: ti prego, osserva quella bambola stesa sul letto, e quel quadro di tre metri per due raffigurante una barca sulla spiaggia al tramonto. Gentile signora, che lavoro svolge suo marito?».
Al sentirsi rivolgere quella pressante domanda, la signora, che sino a quel momento non aveva lesinato mugugni e proteste, ammutolì perplessa.
«Mio marito? E' artigiano - si schermì, aggiungendo subito - Ma prego accomodatevi. Volete favorire una tazza di caffè?».
«Molto, molto obbligati, signora - la ringraziò il professore cerimoniosamente. E, sedendosi - Vedi, caro Nando? E tu dubitavi dell'accoglienza del popolo!».
Mentre la signora, in cucina, preparava il caffè con insolita solerzia, il professore, girando lo sguardo attorno, si accorse finalmente che, stazionante innanzi alla televisione stava un ragazzo di forse dodici anni, a tutto indifferente se non allo spettacolo che avidamente stava consumando. Il professore, allora, alzatosi dalla poltrona buona, s'avvicinò e, strappatogli di mano il telecomando, con gesto consapevole e paterno spense l'apparecchio. E, alle incipienti e immancabili proteste, oppose una lunga e argomentata disamina sui danni morali che la televisione poteva arrecare accompagnata da una veemente perorazione a difesa di interessi certamenti più meritevoli di attenzione e studio. Tra i quali, non disdegnava di citare, il rock. E alle deboli proteste del giovine che opponeva nomi di gruppi che è bello non ricordare, il professore rispose citando altri di notevole caratura e interesse in grado di coniugare testi non banali a musiche più che degne. Tra questi, mi piace ricordare che il professore si rammentò dei Warrior Soul.
Approfittando del rientro della madre con la caffettiera fumante e della seguente distrazione, il giovane rientrò in possesso del desiato telecomando, ma, ancora non era stato versato il caffè, che suonarono alla porta, con gran sollievo della signora che, accorsa e riconosciuto il marito, lo trascinò in un angolo.
«Sono arrivati quei due - sussurrò - e mi hanno fatto un sacco di domande: che lavoro facevi, dove lavoravi... Guardavano il quadro, i mobili...».
Al che il marito, subitaneamente impallidendoo: «La Finannza!» mormorò con un filo di voce atterrita.
Ma l'esitazione poteva essere fatale e allora, fattosi avanti, l'uomo affrontò coraggiosamente il pericolo. Vi furono grandi e cortesi saluti, inviti a restare e a sedersi, fino a quando il professore domandò «Lei che lavoro fa?».
Il momento era giunto.
«Sono artigiano» rispose sobriamente e preparato al peggio.
«Vedi Nando - cominciò il professore - L'artigiano si differenzia dal capitalista in quanto è sia lavoratore che proprietario dei mezzi di produzione. Dico bene? Ella possiede i mezzi di produzione di cui si serve?».
E mentre il pensiero del professore correva a rudimentali torni o telai, quello dell'uomo precipitava in un abisso di fatture fasulle e dichiarazioni lacunose.
«In un certo senso - si difese l'artigiano - Anche se ci sono un sacco di spese: i mutui, le Banche...».
«Caro Nando: prendi nota che sul ruolo del capitale finanziario sarà necessaria qualche ulteriore e pregnante riflessione».
Ma Nando, più distratto del solito, continuava a fissare perplesso il volto e la fisionomia dell'artigiano, mentre il professore, proseguendo l'opera di proselitismo: «E mi dica caro Signor? («Giuseppe» s'affrettò l'artigiano). Ebbene, caro Giuseppe, mi dica, qual è il suo atteggiamento nei confronti dei garzoni? Sa? le domando ciò in quanto è per me necessario stabilire se Ella, in caso di crisi, sia destinato a esser tra coloro (e sono i più) che scivoleranno verso condizioni proletarie ovvero fa parte di quel (ristretto, in vero) numero di capitalisti in atto che, al sopraggiunger della crisi si manifestaranno in potenza».
E Giuseppe, che a lavoro nerissimo impiegava un paio di albanesi, «Ma io veramente faccio tutto da me».
«Me ne compiaccio. Veda, io credo che ella potrebbe diventare un soggetto potenzialmente rivoluzionario. E i tempi maturano in fretta: non è passato molto tempo da quando io e il qui presente Nando Pansa ci siamo trovati a dover fronteggiare una colonna abilmente travestita. («Non lo dica, professore!» supplicò il bidello) Ma siamo riusciti a fermarla con il lancio di una bottiglia incendiaria sapientemente (da me) preparata».
«Dove, di grazia?» domandò l'artigiano che cominciava a intravvedere l'ombra di un sospetto.
«Professore: s'è fatto tardi!» implorò ancora Nando Pansa.
Ma il Professore, ignorandolo «Non lungi da qui: a qualche centinaio di metri dall'imbocco della strada non asfaltata».
Il volto dell'artigiano si fece di porpora, circostanza che il Professore, peraltro, attribuì al caffè bollente. Reprimendosi, comunque, riuscì ancora a sillabare l'ultima domanda «E, mi scusino, ma loro sono della Finanza? O dei Carabinieri?».
«Ma per carità! Mai potremmo mescolarci alle forze della Reazione! Veda, io sono un professore (di matematica) e questi è un bidello».
«Che Dio ci protegga!» supplicò Nando Pansa.
E prima che il professore potesse erudirlo circa i fondamenti del materialismo scientifico, quel Giuseppe, furioso in volto e in preda ad una ben meditata furia vendicativa, s'alzò rovesciando la sedia e si diede a rincorrere professore e bidello che, dopo qualche giro attorno al tavolo, cominciarono a stimare più acconcia e opportuna l'ipotesi di uscir a rotta di collo di casa e di precipitarsi, ancora una volta, verso la Uno che attendeva paziente e ormai pronta a tutto.


CAPITOLO VI
Ove si narra di comme la fiamma rivoluzionaria attecchì tra le Classi Diseredate.

Per l'ennesima volta la bidellesca e paziente Uno fu sottoposta a uno sforzo molto gravoso e fu costretta, suo malgrado, a prodursi in un'accelerazione e in uno scatto per lei certamente notevoli ma che, invero, non avrebbero di certo potuto competere con quelli di qualunque altro mezzo a trazione meccanica o equina presente sulla rete stradale. La Fortuna, però, in quell'occasione non voltò le spalle alla Rivoluzione, giacché l'artigiano Giuseppe, nell'inseguirli colmo di furia e sdegno, aveva omesso di prender con sé le chiavi della propria vettura per cui, lanciato qualche minaccioso avvertimento al Cielo, vedendo la macchina nemica allontanarsi, seppur lentamente, non trovò nulla di meglio che rientrare assai corrucciato in casa.
Dopo qualche minuto dedicato, comprensibilmente, a riprender fiato e metter ordine nei pensieri, fu infine Nando che ruppe il silenzio.
«In vero, Signor mio - disse - non ritenevo che la rivoluzione di cui ella tanto m'aveva parlato richiedesse doti e attitudini atletiche così fuori dal comune. Se solo avessi potuto immaginare, mi sarei potuto allenare alla politica correndo qualche domenica mattina».
«Caro Nando, anche se la questione non è stata mai sufficientemente dibattuta dai buoni autori, pare indubbio che i grandi rivoluzionari fossero anche dotati di prestanza non comune. E' inutile, io credo, che debba rammentarti di Che Guevara insigne marciatore e di Mao, abile nuotatore, nonché di Spartaco, che su tutti primeggiava. Ma ciò non toglie che l'arte in cui essi eccellevano era l'analisi intellettuale, attività nella quale mi sento, in verità, più versato. A tal proposito, sopraggiunta ormai l'ora tarda, e sentendo in me impellente la necessità di meditare con calma sulle contraddizioni odierne derivanti, mi sembra, da un perfettibile rapporto con le masse, ti pregherei di accostare in un'accogliente piazzola».
«Con ciò Sua Signoria intende che noi si passerà la notte all'addiaccio?».
«Notte mi pare eccessivo: giusto qualche ora insonne in attesa di poter couniugare, a partire dalle prime ore dell'alba, la teoria alla prassi in maniera più consona alla fase che stiamo attraversando. Ma ecco una piazzola: ti prego, accosta».
Si fermarono sul ciglio della strada e il fido bidello cavò fuori dal baule quelle due provvidenziali coperte e ne porse una al professore che, purtuttavia, faceva cenno di rifiutare.
«Solo poche ore insonni di meditazione, magari aiutata da una stimolante musica».
E, messosi a frugare tra il mucchio delle cassette ne tirò fuori quella dei Black Crowes.
Ma, per quanto insigne fosse il gruppo e notevole il disco, non trascorse la seconda canzone che un sommesso mormorio cominciò a levarsi dal petto del Professore. E, giunta finalmente l'alba, al risveglio, il professore diede mostra d'aver elaborato una strategia. (Giova peraltro ricordare che egli s'era assopito lasciando la cassetta posizionata sul reverse indefinito con grande disappunto del bidello che, oltretutto, nel corso della notte si vide contese dal Professore - con successo - entrambe le coperte).
Orbene, il Professore pareva rammentarsi, tra uno sbadiglio e l'altro, che ai suoi verd'anni s'era recato proprio in quella zona di buon'ora a far volantinaggio dinnanzi ai cancelli di una poco distante fabbrica.
«Vedi Nando, credo che il mio errore sia stato quello di non partire dalla sollevazione della classe operaia. Orsù quindi, muoviamo: son solo pochi chilometri e a quest'ora gli operai staranno per entrare in fabbrica.»
Dopo qualche tempo, con gran sicurezza, il professore indicò una stradina il cui asfalto combatteva una strenua resistenza contro i ciuffi d'erba che crescevano un po'ovunque.
«Sua Signoria è certa che sia proprio questa la strada?» domandò il bidello, alquanto perplesso.
«Nulla di più sicuro: la fabbrica, pulsante di vita e fermenti rivoluzionari è ormai vicina. Guarda: è proprio dietro quella curva. Ecco, rallenta per non rischiare di travolgere la fila degli operai che entrano ai cancelli, ecco, così... Oh, corbezzoli!»

Purtroppo, l'azienda in questione, una quindicina d'anni prima, era entrata in profonda crisi e il datore di lavoro, previa fuga in Isvizzera, ne aveva sancito la fine di ogni qualsivoglia attività produttiva. All'epoca gli operai protestarono con vigore organizzando numerose vertenze ma il professore, che a quel tempo era immerso nello studio delle contraddizioni del tumulto dei Ciompi, aveva omesso di dedicare la sua attenzione alla notizia.
In quel radioso mattino rivoluzionario, di quella fabbrica, rimanevano pochi muri sbrecciati e numerosi tralicci arrugginiti.
Fermata la macchina, i due paladini del popolo cominciarono ad aggirarsi muti tra le macerie, retaggio dell'era industriale, con il professore che, di tanto in tanto si lasciava scappare un «Ma dove sono gli operai?».
Nando Pansa, diligentemente, cercava per ogni dove, evitando preservativi e siringhe usati, guardando negli angoli più nascosti.
«Niente. - confermò sollevando l'ennesima botola - Proprio non ci sono».
«Eppure... eppure...». Ma in quel frangente, tra una ricerca e l'altra s'imbatterono infine in un'anima viva e stupefatta.
Appoggiato ad un pilastro, laccio appena allentato, siringa e cucchiaino a lato, in contemplazione assorta di un muro scrostato, stava un tossicodipendente.
«Caro Nando - esclamò il professore - forse la nostra venuta qui non sarà senza frutto. Ecco qui dinnanzi a te - e lo indicava con ampi gesti - un tipico prodotto dell'alienazione capitalistica!».
«Signor mio, a me pare proprio un drogato».
«Non lo nego, ma, nonostante le sue contraddizioni, rimane pur sempre un prodotto del sistema iniquo che combattiamo con foga».
Lo stupefatto abitante delle macerie, nel frattempo, s'era rialzato, e, dopo aver riordinato i suoi strumenti di lavoro, s'era avvicinato ai due.
«Concorderà con me - lo interpellò il professore - che Ella si dibatte in numerose contraddizioni?».
«Numerosissime, invero».
«Mi compiaccio che le riconosca e, mi dica, non sarebbe intenzionato a risolverle emancipandosi dalla sua poco sociale attitudine?».
«Certamente, e non nascondo d'averci anche provato e di essere, allo scopo, entrato in comunità. Ma dopo ventisette punti di sutura, otto lussazioni, una sospetta frattura del metacarpo destro e tre slogature a cui vanno aggiunte abrasioni, contusioni e ustioni di secondaria importanza che citar qui sarebbe dispersivo, mi sono rafforzato nel parere che meglio sarebbe tener contraddizioni e incolumità. A tal proposito, potrei io invitarla ad alleviarle, almeno in parte, versandomi una congrua somma?».
«Amico, siamo ricchi di ideali e scarsi di fondi. Temo che dovrà rivolgersi ad altri».
«Mi perdoni, ma non vedo forse un orologio al suo polso sinistro?». «Amico mio, il suo valor d'uso è per me immenso ma il valor di scambio temo sia trascurabile».
«Signor mio, comprendo il suo ragionamento, ma uno scarso valor di scambio del suo orologio sarà certamente più apprezzato, dal mio fornitore, di quello, assai prossimo allo zero, dei suoi ideali».
E, vedendo che Nando cominciava ad armarsi con una vecchia trave arrugginita «Gentile signore - gli disse - mi duole significarle che stringo tra le mani una siringa che grave nocumento potrebbe arrecare al suo compagno».
Nando gettò a malincuore la trave a terra e quegli, dopo aver ricevuto l'orologio si allontanò verso il suo motorino non senza aver, con un chiodo acuminato, forato una gomma della Uno. Dopodiché, messo in moto, si allontanò in direzione del sole nascente


CAPITOLO VII
Ove si narra di come il Professor Chisciotta fu ammesso in circoli rivoluzionari e oltremodo clandestini.
Fu con gran mestizia che Nando Pansa si avvicinò alla bidellesca Uno e iniziò a contemplarla, e quando infine sentì vicino a sé la presenza nobile e austera del professore: «Signor mio - cominciò a singhiozzare - sono arrivato alla conclusione che queste rivoluzioni non mi si confanno e perciò, eccellenza, vorrei comunicarle che rinuncio a quel posto di sottosegretario ch'Ella mi aveva così generosamente promesso, e le annuncio che presto ritornerò dalla mia Teresa e dalle mie ramazze. Come se non bastasse, signoria, se mi assenterò ancora qualche giorno corro il rischio di ricevere una visita del medico fiscale».
«Caro Nando - rispose meditabondo il professore - anche se la questione della rivoluzione in un solo paese è stata più a lungo dibattuta di quella della rivoluzione in un sol giorno, è comunque mia opinione (confortata, peraltro, dall'esperienza storica) che nell'arco di pochi giorni, e quindi prima del medico fiscale, sia possibile instaurare qua e là qualche accenno di dittatura del proletariato».
Ma il bidello, per nulla rassicurato, si sedette sull'umida erba a contemplare sconsolato la sua macchinetta.
«Ma cosa ti preoccupa, infine - domandò il professore - Forse la ruota forata a cusa delle stridenti contraddizioni della cultura capitalistica?».
«Signor mio, non è solo la ruota che mi inquieta. Ma anche quelle sgraffiature procurate allo stadio, e quegli ammortizzatori ormai prossimi al disfacimento, per tacere dello sterzo che, a causa di tutte le buche, risulta esser solo approssimativo».
«Animo, Nando - lo rincuorò Chisciotta - è solo un momento di sconforto! Le rivoluzioni conoscono sempre i loro alti e bassi!».
«Sarà senz'altro così, anche se a me pare d'aver visto sinora solo bassissimi».
«Pura sfortuna, caro Nando, pura sfortuna. Orsù rialzati e aiutami a cambiare questa gomma. C'è un paese poco distante e certamente troveremo qualche bravo artigiano che te l'accomoderà a regola d'arte».
Lavorarono per un buon quarto d'ora prima di ripartire alla volta del paese. Ma lungo il tragitto, il professore, al cui fine intuito psicologico nulla sfuggiva, cominciò a sospettare che il bidello cominciasse ad avvertire un lieve calo della tensione ideale. Per rincuorarlo, quindi, pescò dall'inesauribile mucchio di cassette che s'era portato seco quella con la registrazione dell'ultimo lavoro dei King Crimson.
«Animo Nando! Ho qui una cassetta che, per le sue sottili ed evocative sfumature, non mancherà di rallegrarti l'animo».
«Quale cassetta, signor mio?».
«Quella dei King Crimson, mio caro».
«Si tratta forse di un vecchio disco o di un'antica registrazione?».
«Nulla di tutto ciò: è, al contrario, un lavoro di poche settimane or sono».
«Ma che stranezza: credevo d'esser affatto digiuno di rock, ma ora mi rendo che, in fondo, le sue usanze non sono dissimili da quelle della mia famiglia».
«Non comprendo, Nando. Forse tra i tuoi parenti v'è un musicista o un compositore rock di cui m'avevi taciuto l'esistenza?».
«Oh no, signor mio: nella mia famiglia siamo poco inclini all'arte in genere e al rock in particolare».
«E allora, cosa c'entra la tua famiglia?».
«Veda, signor mio, io faccio di nome Nando (che poi sarebbe il diminutivo di Fernando), e anche il mio nonno (buon'anima) si chiamva Fernando. Mio padre invece fa Antonio, e mio fratello Giuseppe, anche se lui non c'entra, ed è norma da sempre seguita nella mia famiglia che il mio primo figlio debba chiamarsi Antonio anche lui, mentre il nipote di Giuseppe si chiamerà (se mai nascerà) Giuseppe, anche se lui c'entra ancora meno di Giuseppe mio fratello».
«Nando, son lieto di far conoscenza per esteso della tua famiglia, ma continuo a non cogliere il nesso con il rock».
«Non comprende? Evidentemente gli antichi King Crimson dovevano essere i nonni di questi che hanno inciso questo disco e che, da bravi nipoti, prendono il loro nome».
«Invece ti sbagli, caro Nando, giacché questi King Crimson sono gli stessi di quelli antichi. Almeno, quasi gli stessi, giacché, pur essendo presente il solo Fripp della prima formazione originaria, e Adrian Belew e Tony Levin della seconda, in certi tratti sembrano riandare ai loro momenti classici. Onde per cui ti consiglierei vivamente, oltre che una virata a destra, giacché il paese si trova in quella direzione, anche un ascolto ripetuto e attento. Ecco, adesso rallenta, ché dopo quella curva entreremo tra le prime case e, vedrai, non sarà difficile trovare un gommista esperto ed onesto».
Ma qui mi sia lecita una parentesi, per introdurre due nuovi personaggi che, loro malgrado, segneranno il corso futuro delle vicende rivoluzionarie del professore. Si trattava di due balordi, da sempri usi ed avvezzi a sbarcare il lunario con una moltitudine di mezzi tanto eterogenei quanto di dubbia legalità. Entrati e usciti ben più che due fiate dalle patrie galere, avevano, negli ultimi tempi, contattato una rete clandestina di scommesse sul calcio. Mentre la bidellesca e arrancante Uno entrava in paese, un di quei due domandò all'altro «Ma sei tu ben sicuro?».
«Sicurissimo, certamente!».
«Ripeti allora».
«Gli ordini son chiari: consegnare la busta con le scommesse di sabato a due emissari del Capo».
«E come riconoscerli?».
«Non c'è da sbagliarsi: entreranno, con aria indifferente, nel paese, faranno un lungo e vizioso giro della piazza, dopodiché si fermeranno dal gommista. Saranno in due, e insospettabili».
«Bene, aspettiamo».
«Allora, professore - domandò Nando - dov'è questo gommista?».
«Mi pare che sia da quel lato della piazza. - ma, dopo qualche decina di metri - No, ora che ci penso, dovrebbe essere dall'altro lato - e, dopo la conversione e qualche altro istante - Aspetta: adesso sono proprio certo d'averlo visto alle nostre spalle. Ritorna indietro».
Nel frattempo, i due scommettitori guardavano con molto interesse la scena e, dopo che videro la Uno accostarsi davanti al gommista «Son loro» esclamarono, e si avvicinarono.
Già la ruota era stata amorevolmente presa in consegna che i due si accostarono al professore e, portandosi una mano a coprir la bocca e parlando sottovoce, «Abbiamo qui la roba» sussurrarono. Il professore, che non dubitò per un solo istante di essere stato finalmente contattato da un' organizzazione rivoluzionaria quanto mai efficiente, nonché, per forza di cose, clandestina, si adeguò immediatamente alla parte e, sussurrando anche lui, domandò «Di che merce trattasi?».
«Soldi» gli fu risposto.
«Ma le armi?».
«Ci sono anche quelle».
«Ottimo. E siete numerosi?».
«Numerosissimi, e diffusi su tutto il territorio».
«Eccellente: è così che si preparano i movimenti seri».
«Ne siamo consapevoli».
«E, ditemi, cosa devo farci con questi soldi? Comparare armi, finanziare l'espatrio dei latitanti?».
«Portali dal capo. Dentro troverai un bigliettino con le istruzioni».
«Ma allora c'è un capo?».
«Naturalmente».
«Ardo dal desiderio di conoscerlo».
«E lui di avere quel pacchetto».
I due clandestini stavano già congedandosi quando il professore, richiamandoli «Ditemi, non tenetemi sulle spine, come vanno le cose?».
«Molto bene» gli fu sussurrato in risposta.
«E Torino? Come va Torino?».
«E' sui 500» rispose il clandestino che, ovviamente, si riferiva alle quote della vittoria del Torino nel derby.
«E al Sud?» domandò ancora il professore che, invece, desiderava conoscere il numero dei rivoluzionari attivi.
«Dipende cosa. Napoli? Bari?».
«Napoli, per esempio».
«E' a 300».
«Bene!».
Rincuorato, il professore ritornò da Nando Pansa proprio nel momento in cui il bidello stava pagando il gommista e stava risalendo in macchina. Con brevi cenni del capo il professore lo invitò a mettere in moto il più celermente possibile.
Orbene, proprio quando erano sul punto di uscire dalla piazza furono quasi investiti da un'auto di grossa cilindrata che compiva giri spericolati. E proprio quando i due clandestini, al vedere quella scena, sbiancarono in volto, la Uno finalmente uscì dal paese a gran fatica.
«Caro Nando, solo poc'anzi ti dissi (riscontrando in te un certo qual scetticismo che molto m'ha ferito) di come le rivoluzioni conoscano, come molte altre circostanze dell'umano agire, i loro alti e bassi. Ecco, vedi: ora si dimostra come i momenti propizi, dopo tante disavventure, stiano per giungere».
E nel dir ciò l'esimio e prode Professor Chisciotta aprì con delicatezza il voluminoso involto che custodiva in grembo.
Il fido bidello, con un occhio alla guida e al'altro al pacco, vide quindi materializzarsi, come per magia, numerosi rotoli di biglietti da centomila ripiegati e strizzati da stretti elastici.
«Signor mio - esclamò - In fede non oserò mai più parlar male delle Rivoluzioni se in un solo giorno di lavoro (per quanto oltremodo duro e penoso, e io ne so qualcosa) Ella ha potuto guadagnare quanto, in media, un operaio riesce in più e più anni».
«Caro Nando - rispose sdegnato l'onesto professore - questi danari non son per me e non sono nemmeno la Rivoluzione, ma serviranno a prepararla in quanto tramuteranno il loro vile status di moneta segno in armi e tipografie clandestine di inestimabile va
lore per ogni rivoluzionario che si rispetti».
«E' un peccato, signor mio, che qualcosa non possa trattenersi, seppur a titolo di rimborso spese (e la mia macchina ne avrebbe ben bisogno), anche perché, sebbene non facciamo altro che prepararla, mi sorge qualche dubbio sulla ineluttabilità di questa Rivoluzione».
«E qui ti sbagli, e non di poco: che la rivoluzione sia ineluttabile è dimostrato non solo in numerosi testi dei quali non mancherò di parlarti (rammentami di narrarti della caduta tendenziale del saggio del profitto) ma, soprattutto, dall'esperienza. Vedi, caro Nando, che il mondo così com'è sia un'orrenda delusione è ampiamente riscontrato da chiunque abbia un minimo di sensibilità per capire. E come continuare a vivere in una società siffatta? Solo tre son le alternative: la prima è sperare che un giorno, in un al di là, tutto si ricomponga; ipotesi dimostrata erronea (ricordami di menzionarti anche il materialismo dialettico); la seconda è che per sopravvivere e accettare la delusione si diventi pazzi, e che ciò non sia il caso nostro è dimostrato dal fatto che io pazzo non sono; la terza, infine, è ritenere che, per necessità, una rivoluzione migliorerà e abbellirà uno stato di cose altrimenti insostenibile. Ecco Nando: questo è il nostro caso, e ciò prova l'inelluttabilità e l'imminenza della Rivoluzione. Rinfrancati quindi con questo dolce pensiero, e allo scopo, permettimi di farti ascoltare un disco che, di certo, infonderà nel tuo animo, il calore necessario».
Nel dir ciò il Professore pescò dal suo ben fornito mazzo la cassetta dei Widespread Panic: un gruppo che di calore ne trasmette molto, soprattutto a coloro che amano, o hanno amato, la musica americana. Giacché, ed è questa la caratteristica, i Widespread Panic in questo loro ennesimo disco ripropongono un campionario completo di ciò che la musica rock degli States ha prodotto in questi ultimi vent'anni. E, sullo sfondo, c'è sempre una prateria sottintesa, una lunga strada che corre dritta, un senso di libertà, e, nel caso del Professor Chisciotta, i sogni di vent'anni e più prima, quando si ipotizzava una California Hippy e Floreale. (E ora è invece diventata una delle nazioni più razziste della terra: congratulazioni). Adesso, certo, molte cose erano mutate, e la strada che il professore e il bidello percorrevano non era quella sognata vent'anni prima ma una stretta provinciale che si inerpicava su per le montagne.
«Signor mio, è sicuro che la direzione sia quella giusta?».
«Naturalmente, caro Nando: la mappa e le istruzioni accluse son ben chiare. Non dovrebbero mancare più di dieci chilometri».
Ristettero ancora qualche minuto in silenzio a godersi il disco, ad apprezzarne la matura compostezza, fino a quando arrivarono sulla soglia di un grande e pesante cancello.
«Fermati, Nando, il luogo è questo».
S'avanzarono quindi due persone che bello sarebbe non incontrar di notte e meglio ancora non incontrar mai, che, avvicinatisi alla macchina diedero ad intendere che s'attendevano esaustive spiegazioni. Il professore mostrò allora, senza sprecar verbo, la busta, ed essi sembrarono comprendere, giacché li fecero passare.
Entrarono quindi nel parco e dopo poco s'arrestarono dianzi alla villa. Era una costruzione di opulenza post-industriale: muri non intonacati perché, evidentemente, non ritenuto necessario, ma grande e ampia e convessa piscina, cui facevan da cortina certe palme che non saprei ora dire se finte o di serra. L'insieme avrebbe dovuto evocare un che di Floridesco, ma l'Appennino sullo sfondo e l'odore pregnante di stallatico contribuivano non poco a guastare l'atmosfera. Cani molti, e molto feroci, e degni padroni arricchivano la località.
Il professore e il bidello, arrestata la macchina furono di fatto prelevati e portati all'interno.
«Ora lo conosceremo - fremeva Chisciotta - conosceremo il nuovo Lenin d'Italia. Preparati, Nando, preparati al momento, ché un giorno potrai dire ai tuoi nipoti: 'io c'ero'».
«E' proprio questo che temo, signoria» sussurrò appena Nando.
Furono lasciati a meditare in un ampio salotto tendente al rosa confetto, con ricchi divani e pesanti drappi che sconcertò non poco il professore che, a tutt'evidenza, s'aspettava un locale più parco e sobrio.
Non attesero molto, e non ebbbero modo di ammirare con accuratezza la dovizia di statuine di ceramica, ché il nuovo Lenin (almeno così lo riteneva il professore) entrò nel salotto.
Era un uomo assai corpulento e villoso e che amava sfoggiare, oltre al vello, un ricco e aureo medaglione sul torace e una sgargiante vestaglia di seta lucida.
«Sono loro - li apostrofò bruscamente - che mi devon consegnare quella somma?».
«Di ciò fummo incaricati, compagno - l'ossequiò Chisciotta - e la somma è qui. Solo gradiremmo essere messi al corrente dei tuoi progetti, onde potervi partecipare».
«Mi perdoni - lo interruppe il villoso - ma mi chiedo qual può mai essere il vostro interesse».
«Mi pare evidente, compagno - il professore strinse il pugno - apportare le nostre idee a questo imponente movimento di cui tu sei la guida».
E già il villoso stava per controbattere che grandi schiamazzi annunciarono l'entrata in forza di qualcuno di quei signori la cui compagnia, in genere, è consigliabile omettere. Era un gruppo alquanto numeroso ed irritato che si fermò sulla soglia.
«Capo - disse uno di loro - quei due sono infiltrati! Son questi due i corrieri veri - e indicava i due che giunsero sulla piazza poco dopo la partenza del professore e del bidello - Quelli non sappiamo chi siano. Forse poliziotti, o carabinieri, o truffatori».
Il villoso arretrò prudentemente d'un passo mentre tutti brandirono armi di varia natura e taglia, e ai due rivoluzionari si rivolse così: «E' forse vero ciò che dicono?».
«Mai, compagno, servimmo le forze di polizia o della repressione! E ne ho le prove!».
«Le prove, dice? Me le mostri, la prego».
Dignitoso il professore cavò allora dalla tasca più riposta due preziosi cimeli: una foto ed un vecchio articolo, giallastri entrambi per il tempo passato. «Guardi qui - s'avvicinò al villoso - questa è la foto dell'occupazione dell'Università. E' ben vero che son passati diciassette anni e ventiquattro chili, ciononostante sono perfettamente riconoscibile. Eccomi qui al centro, sebbene ancora fornito di ricca e fluente capigliatura. Ma se poi ciò non bastasse - argomentò ad abundantiam il professore - ecco la prova decisiva. - cavò fuori una copia di un antico giornaletto intestato 'Lucania Proletaria' che uscì, una ventina d'anni prima, per ben quattro numeri quasi consecutivi - Da pagina dieci comincia un mio pezzo sulla 'Questione agraria nella Lucania del XVI secolo' ove Ella, con un solo colpo d'occhio, potrà riconoscere un paradigma interpretativo di natura eminentemente materialista. Prego, legga e si convinca».
Ma il villoso, inspiegabilmente per il professore, raccolse foto e articolo, ne fece una pallottola e li gettò nel camino fiammeggiante. Dopodiché, con pochi ma precisi ordini ordinò ai suoi di portare via bidello e professore e di sottoporli a stringente quanto esauriente interrogatorio.
Non appena ricevettero l'ordine dal burbero quanto villoso capo, i suoi premurosi collaboratori si diedero subito ad insistere perché il Professore e Nando Pansa li volessero cortesemente seguire. E, constatata una qualche resistenza, forse determinata dal cortese timore di arrecare troppo disturbo, quei signori stimarono più opportuno stringere a sé calorosamente i due e portarli lungo stretti e reconditi corridoi sino ad una stanza interrata umida e fredda. Colà, per non doversi privare anzitempo della preziosa presenza del Professore e del bidello, quei signori li fecero fermamente accomodare su due sedie (alquanto impolverate e imbrattate, in verità) e provvidero ad assicurarsi la desiderata compagnia per mezzo di pesanti corde sapientemente strette ai polsi, alle caviglie e, con ingegnosa trovata, alla spalliera delle sedie.
Dopodiché si diedero ad approfondire la conoscenza reciproca, a porre domande e questioni così spinose che dovevan richiedere, per forza, il parere del Professore per arrivare a soluzione. Parere che fu richiesto, con insistenza, e vorrei dire calore. Nel corso della dotta conversazione, poi, tanto era il trasporto emotivo e l'interesse che sovente quei signori si dimenticarono di spegnere le cicche nell'apposito portacenere preferendo, nel caso, qualche lembo della pelle di uno dei due. E tanto durò il colloquio che, per ridare scioltezza alle assopite articolazioni, ed in special modo a quelle delle braccia, spesso si diedero a simulare veri e propri incontri di pugilato e diedero modo al volto ora del professore ora del bidello di saggiare la perizia e la forza invero notevoli dei gesti.
Al termine di lunghe ore, infine, tanto era stato l'impegno profuso che i due rivoluzionari, frastornati da tanto coloquiare, s'abbandonarono ormai esausti sulle sedie. E fu allora che nella stanzetta entrò il vestagliato e villoso capo. Con un sol cenno comprese che non v'era stato gran approfondimento dialettico, e all'udir da uno dei suoi collaboratori che, probabilmente, altro non s'approfondirebbe in quanto (cito testualmente) «sarebbe come cavar sangue dalle rape», avvicinossi al professore e, sorretto il di lui mento «Voglio sperare - gli disse - che sua signoria saprà ben dimenticare questa giornata trascorsa tra noi».
Questo fu il commiato e poco dopo il professore e il bidello furono accompagnati sin all'interno della macchina e, con auguri di un felice ritorno in un qualunque luogo dei mondi Superi e (specialmente) Inferi che non fosse quello nel quale si trovavano in quel momento, misero in moto e mestamente lasciarono il giardino della villa.
A placida andatura si diressero quindi lontano e, dopo qualche tempo, «Sai, Nando - mormorò il professore con qualche difetto di pronuncia determinato dall'accidentale caduta di un paio di denti - più ci penso e più mi rafforzo nell'idea che quelli non fossero i rivoluzionari di cui ti parlavo».
«Se proprio devo essere sincero, eccellenza, le dirò che anch'io coltivo analogo sospetto. Inoltre, sua signoria certo non me ne verrà, sono addivenuto alla conclusione che meglio sarebbe per me rinunziare a quel sottosegretariato e alle rivoluzioni di cui ella mi ha lungamente parlato e di cui io ho brevemente ma esaustivamente considerato la natura».
«Con ciò, Nando, tu assesti un colpo di grazia alle mie speranze».
«Me ne dolgo, signor mio, ma spero che la constatazione dei colpi non grati che ho ricevuto in questo giorno varrà a giustificarmi agli occhi suoi».


CAPITOLO VIII
Che tratta del trionfale ritorno a casa dei due prodi Rivoluzionari
Tacquero quindi a lungo, immersi in profonde riflessioni. Il bidello agognava, finalmente, un letto comodo e una vasca da bagno capace mentre il professore, con animo più elevato, si diede a ricordare ancora una volta dei suoi verd'anni e del tempo in cui tutto sembrava più facile. Gli sovvenne allora che aveva con sé ancora una cassetta non ascoltata, appartenente ad un gruppo che molto aveva amato in gioventù: i Gong, l'archetipo della musica freak inglese dell'inizio degli anni settanta. E assorto nel suo silenzio, il professore li ascoltò con evidente commozione riandando con la mente a volti e speranze perse ormai nella nebbia del tempo.
«Nando hai ragione. - mormorò con voce grave - Rientriamo a casa» e si richiuse in un profondo e luttuoso mutismo.
Finalmente, quando ormai il sole già tramontava all'orizzonte, entrarono in città, tra gli sguardi curiosi e attoniti di coloro che vedevano passare un tal residuo di mille battaglie e che di tutte portava vistosi segni. Arrivarono quindi sotto casa del professore e, parcheggiata la reduce Uno, si accinsero a salire faticosamente le scale. Giunti che furono sulla soglia, si aggrapparono al campanello e non lasciarono la presa sino a quando, trafelata, sollevata dalla loro presenza e sconcertata dalla condizione del loro presente, la sorella non aprì la porta. Il professore, sospinto da poco più della forza di gravità, entrò allora nell'appartamento e si abbatté sul divano.
Il salotto era stato ormai rimesso a nuovo, i libri sediziosi eran stati prudentemente asportati e lasciati solo quelli edificanti e concilianti (notavasi in particolare quel romanzetto ove si parla di promessi sposi e ad un punto recita «ho imparato a non mettermi ne' tumulti» - italico paradigma dell'agire politico). Molto temeva la sorella che di ciò il professore s'adombrasse, ma egli, volto un (fuggevole) guardo al passato mobilio, «Che fin mai han fatto i libri miei?» domandò.
«Venne la polizia - si giustificò, mentendo, l'impacciata sorella - li giudicaron pericolosi e li portaron via».
«Bene hanno fatto - assentì, con grande stupore della sorella, il fratello - Sono invero pericolosi, perché traviarono il mio retto comprendere. Mi instillarono l'idea, che solo ora vedo esser falsa e ingannevole, che fosse possibile cambiare il mondo o, più modestamente, quest'iniquo stato di cose. Mi fecero immaginare che la verità e la giustizia sian destinati a trionfare sulla menzogna e l'iniquità, quando a chiunque abbia un minimo di ragionevolezza appare ben chiaro come ciò sia impossibile. Mi fecero credere, infine, che la ragione possa sempre più della prepotenza e che per ciò la storia degli uomini sia destinata ad un futuro migliore. Si sbagliavano, tutti, e sbagliavo io a prestar loro fede. Sorella, potrai mai perdonare la mia follia?».
All'udire questo discorso così assennato e ragionevole, la sorella e il bidello proruppero in grandi manifestazioni di gioia ed entusiamo: l'una, che l'avrebbe perdonato per molto meno, si slanciò ad abbracciarlo, tra le lacrime, rassicurandolo e confortandolo e l'altro, schiarendosi la voce per la commozione, assicurava che, pur di vedere il professore rientrato di senno, era dispostissimo a rinunciare a quel sottosegretariato. E mentre la sorella, per festeggiare, correva ai fornelli con l'intento di preparare una delle sue ricette migliori, il bidello si congedò con grandi sorrisi e congratulazioni adducendo come giustificazione la fretta che l'animava di riveder la Teresa e la vasca da bagno sue. Il professore, rimasto ormai solo nel salotto, si distese quindi sul divano e, trovata la più comoda delle posizioni, pose mano al telecomando e, mentre le immagini scorrevano e saltavano da un canale all'altro, assaporò, dopo molto tempo, la ritrovata serenità di spirito.
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